IN PRINCIPIO ERA SOLO
ERCOLANO COL SUO TERRITORIO. L'ERUZIONE VESUVIANA DEL 79
D.C.
Al centro del golfo dominato
dal Vesuvio era, nell’età antica, Ercolano, piccola città a 6 miglia
romane a sud-est di Napoli, su un promontorio vicino al mare, delimitato
da due fiumicelli originariamente centro degli Osci, popolazione italica
stabilitasi in Campania, subì nel VI sec .a C. l’egemonia dei Greci che da
Cuma dominavano tutta la costa del golfo con Pozzuoli, Napoli, Pompei e
prese il nome greco di Heràklion, in onore di Eracle o Ercole. In tale
periodo ebbe la pianta topografica di una città greca con il sistema della
"limitatio” creato dall’architetto Ippodamo di Mileto consistente in un
tracciato di strade che s'incrociano orizzontalmente (decumani) e
verticalmente (cardini) in modo da dividere gli isolati delle case in
rettangoli uguali disposti in ordine 1’uno accanto all’altro. Conquistata
alla fine del secolo V con tutta la Campania dai Sanniti discesi dagli
Appennini, passò poi, nella II guerra sannitica, ai Romani che si
espandevano verso sud, nel 326 o nel 308 e si chiamò latinamente
Hrculaneum. Ribelle a Roma insieme a Pompei, Stabia e Sorrento nella
guerra sociale promossa dagli Italici per ottenere la cittadinanza romana,
venne conquistata nell’89 da un legato di Silla. Innalzata alla, dignità,
di municipio e ricevuta una colonia romana, la città prosperò col
commercio e con la pesca. I più agiati e illustri personaggi,
attratti dalla bellezza del paesaggio e dalla mitezza del clima, la la
preferirono come località di soggiorno: sorsero così, fuori la cerchia
delle mura urbiche, lungo la strada consolare costiera che da Napoli
conduceva Oplonti, (oggi Torre Annunziata N.d.R.) a Pompei e a Nocera,
numerose ville palazzi, terme, borgate. Le ville, come ci documentano
affreschi vedutistici rinvenuti negli scavi, s’innalzavano presso il mare
o su ameni balsi, disoponevano di grandi terrazze, verande, belvederi,
alcove verso l'ampia veduta del golfo, avevano portici e Corridoi,
giardini e boschetti adorni di statue e fontane. Ebbe anche l’imperiale
famiglia Giulio-Claudia una ”villa in herculanensi pulcerrima” posta
presso il mare, a vista dei naviganti, che - come ci informa Seneca, De
ira III, 21- Caligola fece distruggere perché ivi era stata relegata a
Tiberio a sua madre Agrippina. E gli edifici si accomunavano a quelli
stanziati lungo tutta la costa, da Miseno al promontorio di Minerva (Punta
della Campanella). |
Ville romane presso
il mare (affresco a Pompei).
Questi edifici erano tanti che al geografo greco
Strabone approdante dal mare diedero l’impressione di tutta una sola ed
estesa città.(Geogr. V). Ma allo splendore seguì la rovina. Nel 62 o 63 d.
C., durante il regno di Nerone, un violento terremoto faceva crollare in
gran parte Ercolano, come Pompei, e arrecava gravi danni a Nocera, Stabia,
Napoli, Pozzuoli. Era il 24-25 Agosto del 79, regnando Tito, dopo
diverse scosse sismiche, fra boati e scotimenti, il Vesuvio, rimasto
quieto da tempo immemorabile tanto da non essere considerato nemmeno un
vulcano, si sventrava e dava luogo ad una gigantesca eruzione. Testimone
oculare ed egli stesso fuggiasco fu lo scrittore Plinio il Giovane che in
quei giorni dimorava a Miseno e fece dello straordinario evento la
descrizione vera e drammatica in due lettere inviate allo storico Tacito:
una grossa nube somigliante ad un pino si era levata dal Vesuvio e
lasciava cadere cenere e lapilli, mentre suo zio Plinio il Vecchio, famoso
naturalista e comandante della flotta militare di stanza a Miseno, deciso
ad osservare il fenomeno da vicino e a soccorrere una certa Matrona
Rectina e la popolazione si mosse con delle navi verso la costa vesuviana;
ma, ostacolato dalle avverse condizioni, deviò verso Stabia, dove,
soffocato dalla pioggia di cenere ardente e dalle esalazioni di zolfo morì
insieme a tanti fuggiaschi (1). Pompei, Oplonti, Stabia venivano sepolte
da una pioggia di pietre pomici, sabbia vulcanica e cenere, mentre
un’ingente massa di detriti accumulatasi intorno al cratere e sulle
pendici del Vesuvio, mescolandosi alle acque che, assorbite allo stato di
vapore si accompagnano sempre ad ogni convulsione vulcanica, formando un
immenso torrente fangoso, discese con furia lungo la china del monte dalla
parte di Ercolano e travolse al suo passare i campi, le ville e la città
stessa sommergendola ed elevandosi fino ad un’altezza di 20-30 metri.
L’intero territorio vesuviano rimaneva profondamente sconvolto e delle
città si perdette il
sito. |