I Sanniti in Campania - Davide Monaco
SANNITI

 
AGLI ALBORI DELLA CIVILTA' SANNITA
LA CONQUISTA DELL'AGRO CAMPANO.
LE GUERRE CONTRO GLI ETRUSCHI
E CONTRO I GRECI.

(V secolo a.C.)

 

 

L'espansione verso la foce del Volturno.

La comparsa ufficiale dei Sanniti nella storia avviene, secondo le fonti annalistiche (Livio 7.19.4; Diodoro 16.45.8), nel 354 a.C quando venne stipulato un trattato di alleanza con i Romani. E' probabile che questo accordo fu sancito da uno scritto - ambedue i popoli erano culturalmente maturi per farlo - ma, pur importante che sia stato, nulla ci è pervenuto, nessuna incisione su tavola o epigrafe o scritto. Questo "patto tra eguali" dovette rappresentare più una necessità che un'intesa militare, una "stasi belligera" per contrastare con maggior efficacia la pressante ingerenza delle popolazioni etrusche e latine nei confronti di Roma e, per i Sanniti, le velleità di egemonia di alcune delle popolazioni confinanti nonchè i continui tafferugli che scaturivano dalle relazioni con le colonie greche del meridione.
La memoria del patto tra i due popoli non ci è pervenuta purtroppo tramite scritti di parte sannita ma dell'altra parte, quella romana. Le uniche fonti storiche a cui possiamo attingere notizie provengono infatti solo dall'Urbe e sono di epoca imperiale, quindi molto tempo dopo lo svolgersi dei fatti.
Ma cosa accadde prima di quella data, quali furono gli avvenimenti che portarono i Sanniti a crescere socialmente e politicamente tanto da contendere ad altri popoli la supremazia sulla penisola italiana?
La costituzione di uno stato federale del Sannio può aver avuto origine dall'esigenza di tutelare interessi economici comuni a quelle genti appenniniche, tanto radicati nella società da influenzarne le usanze e i costumi, interessi ma anche attività economiche che si differenziavano enormemente da quelle delle popolazioni di pianura. I Sanniti erano stanziati nelle terre e gli altipiani compresi nella catena montuosa degli Appennini, per un lungo tratto del centro e del meridione d'Italia, con un'economia prevalentemente basata sull'allevamento animale rispetto alle popolazioni di quelle grandi pianure che, in ambedue i versanti della penisola, si estendono dagli Appennini verso i mari e dove l'agricoltura era l'attività preponderante.




Gli altipiani appenninici fornivano d'estate un sicuro pascolo alle grandi mandrie dei Sanniti. Nella foto il bosco di Sant'Antonio e la valle di Primo Campo verso Pescocostanzo (AQ).

La figura arcaica del pastore-guerriero assume valenza proprio rispetto alle tradizioni legate alle attività di allevamento praticate in tale area fin dall'Età del Bronzo, e vede nei Tratturi e nella rete viaria della transumanza il fondamento di una forte economia rurale. Ovini, bovini, equini e suini erano considerati beni ad alto reddito, tramite i prodotti ricavabili e facilmente barattati con una serie di mercanzie non producibili in loco. L'artigianato sannita poteva essere considerato come una vera e propria industria di prodotti di primaria importanza per quei tempi, come la lana ed il latte e tutti i loro derivati nonchè la carne fornita da un numero molto elevato di animali. Fin da tempi arcaici la pecora era ritenuta un tale bene economico da venir adoperata come mezzo di misurazione del valore, cioè era considerata bestiame-moneta. Tale termine trova riferimento nell'etimologia di alcune parole della lingua latina, l'unica pervenutaci tra le tante parlate italiche, derivanti da "pecus" quali "pecunia", "peculium" o "peculatus", giunti nel linguaggio moderno immutati nel loro significato.



Montesarchio (Caudium), Tomba 1293 - Statuetta fittile (ad uso recipiente)
raffigurante un cavaliere con cavallo (VIII - VII secolo a.C.)


L'importanza che la pecora ed il bestiame in genere avevano nell'economia degli antichi popoli è testimoniata negli scritti degli autori classici. Da Festo, per esempio, apprendiamo che la multa per i reati minori era di due pecore, mentre per i reati più gravi era di trenta buoi. La legge romana "Aternia-Tarpea" proposta dai consoli Aulo Aternio Varo e Spurio Tarpeo Montano nel 454 a.C. e la legge Menenia-Sestia dei consoli Tito Menenio Lanato e Publio Sestio Capitolino nel 452 a.C., stabilivano che le pene potevano essere risarcite anche in rame e fissavano il valore di una pecora in dieci assi e di un bue in cento assi, intendendo l'asse come unità ponderale nel significato di libbra.
A questo punto viene spontaneo domandarsi come, all'epoca, venivano considerati coloro che basavano la propria economia prevalentemente sull'allevamento del bestiame, cioè possedevano il maggior capitale disponibile per quei tempi. La storia ci ha tramandato un ritratto delle genti del Sannio forse non troppo veritiero che non riflette affatto in maniera oggettiva il loro effettivo status. Come non riflette l'effettivo rapporto esistente all'interno delle comunità sannite del V secolo a.C. il filone di pensiero storico ancora in auge in molti ambienti accademici (spesso smentiti dagli scavi archeologici), in contrasto nettamente con ciò che riguarda il succedersi degli eventi attestati anche nell'agro campano. Si vuole parlare ancora di periodo "presannita" quando è evidente che in pieno V secolo a.C. non sono più le singole realtà tribali ad intraprendere proprie iniziative ma un'entità politica centrale, organizzata militarmente, che gestisce il Sannio ed i Sanniti (uomini, mezzi e territorio) in maniera organica.
Queste considerazioni creano fondamento ad ipotesi suggestive quanto plausibili: le antiche lotte di espansione portate avanti dai Sanniti fin dal V secolo a.C. poterono scaturire dall'esigenza di reperire nuovi pascoli per il proprio bestiame a discapito delle terre coltivate dalle popolazioni di pianura e quindi, in poche parole, ad "una contesa tra allevatori ed agricoltori".
E' noto che all'epoca i mercati più ricchi erano ubicati presso gli insediamenti degli Etruschi nell'agro campano (o agro capuano) dove le materie prime prodotte
dall'artigianato sannita venivano smerciate con maggior profitto.
Anche la costa tirrenica, facilmente raggiungibile seguendo il corso del fiume Volturno a nord e del Sele a sud, spingendosi verso i dintorni di Cuma e delle altre vicine colonie elleniche fino a Poseidonia (Paestum), rappresentava da tempo un'altra importante area di smercio, dove commerciare le mercanzie prodotte nel Sannio fruttava buoni guadagni.
 
Le direttrici dell'espansione sannita.
E' quindi probabile che l'incremento della sfera d'influenza sannita a discapito delle popolazioni limitrofe sia scaturito da semplici calcoli economici mascherati da fabbisogni difensivi, con l'intento di perpetuare un controllo su quei mercati conosciuti da tempo e dove la presenza di interessi sanniti era saldamente attestata.
La conseguenza fu quindi quella di concentrare tutte le energie verso due direttrici d'espansione principali: la prima e la più a portata di mano, anche per il decadente stato politico in cui versava, fu la conquista ed il controllo di Capua, grande mercato nell'enclave etrusco delle merci e delle mercanzie da e per i territori del Lazio e dell'Etruria, nonchè il più grosso centro agricolo nell'agro campano settentrionale; in seguito divenne fondamentale anche il controllo degli altri insediamenti che formavano la dodecapoli dell'Etruria campana (dal greco dodeka=dodici e polis=città). La seconda fu verso le colonie greche di Cuma e, più a sud, di Poseidonia (Paestum), dove le intenzioni erano quelle di raggiungere e mantenere una discreta presenza commerciale in modo da usufruire sia della rete di comunicazione esistente tra le colonie greche nell'Italia meridionale e sia delle direttrici commerciali tra queste e gli stanziamenti dell'alto Lazio e dell'Etruria meridionale.
Quindi fu proprio il controllo di Capua e degli altri stanziamenti vicini - antropici e commerciali - l'ambìto traguardo nel tempo raggiunto, non solo per portare a maggior profitto le merci prodotte nel Sannio ma anche per controllare che gli "Etruschi del sud" non ostacolassero lo sviluppo dell'economia pastorale sannita a favore dei loro immensi appezzamenti di terreno coltivato. Infatti il contenere e controllare gli agricoltori permise ai Sanniti una gestione più organica delle risorse, non consentendo più la coltivazione estesa che sottraeva molte fertili e foraggiate aree alle loro grandi masse di armenti.
L'organizzazione degli allevatori del Sannio aveva trovato finalmente il "pascolo perfetto" dove trascorrere i lunghi e freddi periodi invernali. Conseguenza di questa continua espansione verso le accoglienti terre capuane fu la violenta reazione dei coloni etruschi che di quelle terre avevano fatto il loro ricco granaio e la loro seconda patria.



Gli insediamenti più importanti nell'Agro Campano intorno al VI secolo a.C.

 

Presenze etrusche e sannite nell'agro campano.

Gli scavi archeologici nell'agro ci hanno raccontato come, durante l'Età del Ferro, il territorio campano fosse abitato da popoli a carattere villanoviano e gli insediamenti si disponevano di preferenza in prossimità di corsi d'acqua. I ritrovamenti archeologici hanno permesso di ritenere attendibile la nozione di una presenza etrusca in Campania attestata nella tradizione più antica.
Si può senz'altro supporre che la diffusione del rituale funerario dell'incinerazione, come di determinati elementi della cultura materiale e religiosa, sia da riconnettere a influssi culturali, a contatti e rapporti intercorsi tra le due aree dell'Etruria e della Campania.
La presenza ampiamente dimostrata in Campania di un aspetto "villanoviano" non presuppone tuttavia un dominio politico etrusco in tali aree dalla prima Età del Ferro; l'affinità culturale non significa necessariamente presenza etnica e tanto meno forme di dominio
politico. Negli ultimi decenni del VI secolo un nuovo tipo di evidenza, quella epigrafica, viene ad attestare per diversi centri campani un mutamento storico significativo.
I documenti epigrafici sembrano attestare una vitale ed organizzata presenza etrusca nella Campania meridionale, con particolare riguardo per Pontecagnano.
L'alfabeto delle iscrizioni dell'area sorrentina ricorda nei caratteri quello di Vulci e Tarquinia mentre l'alfabeto di Capua presenta molte coincidenze con quello di Caere e Veio. Particolare è anche il caso di Vico Equense e di Nocera dove la presenza di iscrizioni etrusche accanto ad altre in alfabeto osco-nucerino conferma l'ipotesi di uno stretto e pacifico rapporto tra Etruschi e popolazioni locali nella prima metà del VI secolo a.C.
 
Nuceria - Oinochoe in bucchero
con l'iscrizione "Braties esum",
dalla tomba n. 32 del VI secolo a.C.
I fenomeni linguistici e scrittori "implicano un interesse politico e, a partire da un momento che va identificato con il radicamento linguistico, una presenza e dominazione etrusca" (E. Lepore). Verosimilmente la dominanza etrusca si esplicava all'interno di compagini complesse e "miste", dal punto di vista etnico, ma non lascia dubbio il prevalente carattere etrusco in senso proprio della fisionomia dei centri rivelata dalla documentazione materiale.
La presenza etrusca in Campania assunse ben presto, col VI secolo, una posizione dialettica se non apertamente conflittuale nei confronti degli ambienti greci. Gli antichi insediamenti di Capua, Nola e Nocera sembrano essere stati edificati con il preciso intento di controllare vaste aree della pianura campana e devono essere storicamente considerati in modo consequenziale l'uno rispetto all'altro. Essi sono posizionati come su di una scacchiera, in punti strategici adatti a presidiare sia viabilità che territorio. La data di fondazione di questi arcaici insediamenti dovrebbe risalire intorno al IX secolo a.C., ad opera delle limitate popolazioni native della zona ma, subito dopo, l'intera area deve essere stata interessata da consistenti infiltrazioni di popolazioni etrusche in cerca di nuovi territori e mercati. E' probabile che all'origine, questi primitivi insediamenti, siano stati formati da un limitato numero di capanne di paglia e fango ma, una volta insediatisi, i colonizzatori etruschi dovettero trasformali molto rapidamente in un vero e proprio agglomerato fortificato, formato al principio da
 

Statua di (1)
Demetra-Cerere.
difese lignee, come pali e palizzate, per difendersi dalle popolazioni autoctone. Solo in seguito, quando la penetrazione etrusca nel territorio campano si fece alquanto consistente, iniziarono a sorgere costruzioni dai muri in pietra, circondate da mura poligonali a difesa di un insediamento trasformato ormai in una vera e propria città-stato.
La tradizione ci tramanda l'esistenza di dodici grandi insediamenti etruschi nell'agro campano, una vera e propria rete di controllo territoriale su cui basarono gran parte del loro potere militare ma anche economico. La dodecapoli campana voleva sicuramente riflettere la potenza e l'organizzazione della dodecapoli nella terra d'origine.


Guerriero etrusco in assalto ai Greci.
Ultimo quarto del VI secolo a.C. (2)
 
Dopo secoli di dominio etrusco in quella parte della penisola, una rovinosa sconfitta navale ad opera dei coloni greci nelle acque di Cuma (474 a. C.), segnò l'inizio del declino egemone dei Tirreni tanto che le popolazioni native di lingua osca, adoperate maggiormente per il lavoro manuale nei grandi latifondi delle famiglie etrusche, dovettero subito rendersi conto della lenta agonia in cui versava il potere dei colonizzatori. Incoraggiate dai Sanniti, che spingevano per usufruire delle grandi risorse a cui poter attingere una volta cacciati gli Etruschi, gli oschi nativi dei luoghi si organiz-zarono per soppiantare proprio quell'egemonia al cui sistema economico dovevano gran parte della loro sussistenza.
Secondo le fonti letterarie antiche, tra cui Dionigi di Alicarnasso (XV, 3, 7), "(i Campani) non acquisirono la terra secondo giustizia quando la occuparono la prima volta, ma accolti come ospiti dai Tirreni che la abitavano e uccisi tutti gli uomini, presero le loro donne e sostanze e città e la terra ambita". Da questa tradizione sembrerebbe che solo dopo un periodo di tensione e conflitti e dopo una forzata convivenza, la classe etrusca sia stata travolta definitivamente.
Secondo il Devoto "non si può parlare di un vero e proprio stato campano, ma piuttosto di una confederazione di tre gruppi facenti capo alle circoscritte regioni di cui la prima sarebbe stata quella più propriamente campana dell'area di Capua, la seconda quella intorno a Nola ed Abella, la terza quella di Nocera".




Capua, la fortezza-granaio etrusca divenne la sannita Capi.

La fertilità dei campi dell'agro capuano, all'origine stessa del nome Campania, costituisce indubbiamente uno dei fattori principali per spiegare la singolare fortuna storica di Capua: il possesso di quelle terre fu spesso il movente delle cruente lotte tra le popolazioni che si avvicendarono nel dominio sulla città.
Capua, che non va confusa con l'omonimo centro moderno, ma va identificata con l'attuale abitato di Santa Maria Capua Vetere, si trova

Arula fittile da Capua.
 
infatti nel cuore della pianura campana settentrionale, solcata da numerosi fiumi fra i quali il più grande è il Volturno: l'importante corso d'acqua, dopo essere scaturito dalle montagne del Sannio pentro e dopo essersi aperto un varco tra il gruppo del Matese e una serie di rilievi minori preappenninici, scorre nel fertile pianoro capuano, andando a sfociare nel mar Tirreno a circa una dozzina di chilometri a sud del monte Massico, che separa il bacino del Volturno da quello del Garigliano.
Fin dai tempi più remoti le ricche terre della pianura campana furono méta di notevoli traffici e flussi mercantili che
sfruttavano la naturale via di comunicazione collegante, attraverso il sistema delle valli interne dei fiumi Liri e Sacco, la zona del Volturno all'area sud-etrusca, anche mediante il nevralgico guado dell'Isola Tiberina, da tempi immemori fonte di guadagni per i romani. Proprio l'analisi delle infrastrutture viarie permette di differenziare storicamente i periodi di maggiore o minore fioritura di Capua che, nell'ambito delle grandi direttrici commerciali, si trovò sovente a fronteggiare la temibile concorrenza dell'asse pontino o, più genericamente, delle rotte marittime medio-tirreniche.




Antica mappa di Capua dal Pacichelli.

L'indagine storico-archeologica sulla città, ricordata in molte significative fonti letterarie antiche, è resa alquanto complicata dalla continuità pressoché ininterrotta di vita: in effetti i primi risultati di un certo rilievo si ebbero solo a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, quando, sull'onda di un'attività inizialmente clandestina, si intraprese lo scavo regolare di un antico santuario in località Petrara (ex fondo Patturelli), che restituì materiali assai importanti, come le celebri "Madri di Capua", sculture in pietra tufacea. Un altro santuario posto
Le Madri di Capua

Una delle "Mater" di Capua.
 
sulle pendici sud-occidentali del Monte Tifata, era dedicato a Diana Tifatina, quella Diana italica considerata alle origini come una generica divinità della nascita e della vegetazione e che solo in un secondo momento fu identificata come l'Artemis greca, acquistando il carattere più noto di cacciatrice. Il culto e di conseguenza il santuario hanno certamente origini antiche anche se le testimonianze archeologiche, cioè i resti del podio del tempio, sono stati datati ad età arcaica (VI secolo a.C.).
In un noto passo dello storico romano Velleio Patercolo, vissuto ai tempi dell'imperatore Tiberio, si afferma che la fondazione dell'abitato di Capua sarebbe avvenuta intorno all'800 a.C.,
addirittura un cinquantennio prima della data fissata dalla storiografia annalistica per la nascita di Roma (754-753 a.C.): le indagini archeologiche del secondo dopoguerra hanno sostanzialmente confermato la notizia di Patercolo, come dimostrano le tombe capuane della prima Età del Ferro (IX secolo a.C.). Naturalmente questo non significa che la città nascesse dal nulla; è invece verosimile che il momento storico suggerito dalle fonti letterarie e dai reperti vada identificato con nuovi fenomeni di aggregazione e di organizzazione sociale che coinvolsero le comunità indigene già inserite, dall'Età del Bronzo, in strutture di tipo tribale, nella fertile piana del Volturno: tali sviluppi sembrano in diretta connessione con l'arrivo nel territorio di genti villanoviane, ormai considerate portatrici dei più antichi elementi
della cultura etrusca. Sappiamo infatti che Capua fu il capoluogo della dodecapoli (federazione di dodici città) che gli Etruschi, a somiglianza delle strutture socio-politiche dell'Etruria propria, formarono nella pianura campana.
I materiali rinvenuti nelle necropoli del IX e dei primi decenni dell'VIII secolo a.C. confermano non solo l'etruschizzazione dell'area capuana, dovuta all'espansionismo di un mondo ricco di fermenti e di futuri sviluppi come quello sud-etrusco (nella piana del Volturno sembrano agire più che altro componenti veienti), ma ribadiscono anche il ruolo fortemente dinamico di Capua già in età così antica: nei corredi tombali sono presenti, tra l'altro, vasi provenienti dalla Grecia, a riprova dell'importanza degli scambi commerciali e dei reciproci contatti culturali nell'orizzonte dell'età geometrica. Si può agevolmente immaginare che una parte cospicua dei beni di scambio che Capua era in grado di offrire fosse rappresentata proprio dai prodotti agricoli che, naturalmente, potevano venire smerciati dalla città anche grazie alla sua posizione privilegiata sulla grande via verso l'Etruria.
 
Figura ad uso votivo.
Capua - VI sec. a.C.
Intorno alla metà dell'VIII secolo a.C. un fatto nuovo mutò questa particolare congiuntura favorevole, mostrando già fin d'ora la relativa vulnerabilità dell'economia di Capua: intorno alla metà del secolo i mercanti euboici fondarono la città costiera di Cuma, che, anche in virtù della maggiore economicità rivestita in antico dai traffici via mare rispetto a quelli terrestri, relegò Capua in posizione subalterna, soprattutto per ciò che riguarda la forza di penetrazione commerciale.
Non è certamente casuale che la crisi attraversata da Cuma alla fine del VI secolo a.C., quando venne smantellato il regime tirannico di Aristodemo, anche grazie al decisivo sostegno capuano, coincida con
Tavola Capuana

La Tavola Capuana - V secolo a.C.
 
una fase assai prospera per Capua: furono ancora le élites dominanti etrusche a guidare l'intera compagine sociale, come suggerisce implicita-mente la raffinata produzione capuana, sia in campo vascolare che bronzistico, di oggetti di evidente matrice etrusca. Una significativa prova dei profondi legami fra Capua e l'Etruria, tra l'arcaismo e la prima età classica, è la celebre "Tavola Capuana" (conosciuta impro-priamente come "Tegola"), databile entro il V secolo a.C. e trovata forse nel santuario del Fondo Patturelli, oggi conservata nei Musei di Berlino: l'oggetto reca una lunga iscrizione con direzione bustrofedica in lingua etrusca identificabile con un rituale religioso.
"La Tegola rappresenta la copia del calendario liturgico di un santuario, redatto tra la fine del VI ed il primo quarto del V secolo, ma trascritto su supporto fittile solo in un momento successivo nel corso dello stesso V secolo.
Il calendario è ordinato per mesi e per giorni a cominciare, a quanto sembra, da Marzo e precisa il tipo e la successione dei rituali da compiere in luoghi di culto predestinati alle diverse divinità all'interno dell'area sacra" (L. Cerchiai - I Campani - Longanesi 1995).
Tra le divinità figura Uni (Hera) - cui è dedicato un tempio - insieme ad altre divinità sia del pantheon etrusco che di estrazione ctonia.
Nella storia della città il V secolo rappresenta però un periodo di notevoli mutamenti: approfittando del progressivo indebolimento degli Etruschi, sconfitti nella battaglia navale di Cuma del 474 a.C. da una coalizione cumano-siracusana, emersero gruppi di origine indigena, i Campani, affiancati dai Sanniti che, spinti dagli enormi interessi economici che giravano intorno al controllo della pianura di Capua e dalla favorevole congiuntura socio-politica, si insediarono stabilmente nelle feraci pianure della Campania.
Si può cogliere un riscontro di questi complessi avvenimenti in una serie di fonti letterarie che possono venire interpretate in questa chiave: Catone il Censore (II secolo a.C.) afferma, a differenza di Velleio Patercolo, che la fondazione di Capua avvenne intorno al 470 a.C., mentre Diodoro Siculo e Livio (I secolo a.C.) ricordano rispettivamente come il popolo dei Campani si fosse formato nel 438-437 a.C. e come la città si fosse chiamata "Volturnum" al tempo degli Etruschi (3). Pare indubbio che tali tradizioni attestino da una parte la doppia componente (etruscoindigena) di Capua, dall'altra il consolidarsi di quella campano-sannitica a partire dai decenni centrali del V secolo a.C. Il processo di esautoramento degli Etruschi appare comunque sancito dalla definitiva presa della città capuana nel 423 a.C. ad opera dei Sanniti, che da quel momento si insediarono saldamente nell'intera Campania, frequentando sovente anche gli abitati greci.
"Sarebbe errato considerare i Sanniti orde selvagge: come risulta chiaramente dai più noti esempi delle città vesuviane, queste popolazioni mostrano al contrario un elevato grado di acculturazione, risultato delle durevoli interrelazioni con le genti greche ed etrusche, che essi avrebbero successivamente spodestato. Anche la documentazione archeologica di Capua può fornire interessanti indizi in tal senso: l'assetto urbanistico della città antica, di cui si sono viste a più riprese le tracce al di sotto del moderno abitato di Santa Maria Capua Vetere, sembra derivare da prototipi grecizzanti, con le sue vie che si intersecano ad angolo retto" (Emidio De Albentiis).
Le "Madri di Capua", rinvenute in un santuario extraurbano, mostrano anch'esse il processo di rielaborazione, compiuto dagli artigiani campani, di stimoli culturali di origine ellenica. Le Madri, databili a partire dall'inoltrato V secolo a.C., raffigurano donne sedute con in grembo uno o più bambini in fasce: si tratta di offerte votive ad una divinità in evidente rapporto con culti di fecondità (vitali in ogni comunità antica, ma particolarmente significativi nelle società a forte connotazione agricola).
Dal punto di vista formale si è fatto spesso il confronto con un consimile reperto proveniente da Megara Hyblaea, e proprio la resa stilistica rivela nella maggiore connotazione simbolica delle Madri capuane una ricerca di semplificazione del naturalismo, tipica del mondo italico.
Ma nel corso del secolo successivo gli interessi espansionistici di Roma avrebbero finito col modificare ulteriormente gli equilibri socio-politici della Capua campano-sannitica: già nel 411 a.C. i Sanniti vietarono ai Romani il commercio nell'agro capuano, ma la ricchezza di quel territorio provocò dopo nemmeno un secolo quell'estenuante scontro che conosciamo come Guerre Sannitiche.
  La Mater di
Megara Hyblaea
La "Mater" di
Megara Hyblaea.
Siamo sufficientemente informati degli eventi che investirono Capua durante queste guerre: nel 343 a.C. le schiere sannite occuparono l'intero territorio capuano lasciando la cittadina di Capua pressochè isolata, colpevole di essere corsa in aiuto alle popolazioni dei Sidicini che ostacolavano il transito attraverso la media valle del Volturno ai traffici provenienti dal Sannio interno. Non si trattò di un vero e proprio

Antefissa in terracotta.
Capua VI sec. a.C.
 
assedio ma più una dimostrazione di forza verso coloro che i Sanniti reputavano alleati.
Stando alle fonti letterarie romane, la componente specificatamente campana (da identificarsi più adeguatamente con la classe dirigente, frutto dell'osmosi formatasi in città dai tempi della calata del V secolo a.C.) minacciata da una possibile esautorazione dalla dirigenza politica che governava quelle terre, invocò l'aiuto dei Romani. E Roma non perse l'occasione di poter intervenire con merito in vicende che interessavano l'agro campano, da molto tempo considerato dai senatori dell'Urbe come naturale espansione dei loro traffici economici, alleandosi con Capua con un trattato di collaborazione e concedendole la cittadinanza senza diritto di voto nel 338 a.C.
L'alleanza tra l'oligarchia capuana e quella romana, ovviamente attratte dalla possibilità di giocare un ruolo così importante in quelle fiorentissime zone, trovò conferma qualche anno più tardi nell'insediamento presso Capua di una colonia militare, Cales (odierna Calvi Risorta).
La presenza di Roma nell'agro capuano venne inoltre rafforzata dalla costruzione di una strada, la via Appia, realizzata dal console Appio Claudio Cieco nel 312 a.C., che giungeva a Capua sfruttando l'asse pontino: l'antico sistema di comunicazione attraverso le valli interne del Lazio venne a sua volta potenziato dalla pressoché contemporanea via Latina, che si saldava all'Appia a Casilinum (attuale Capua), un avamposto della città lungo le rive del Volturno.
Ma il vero intendimento di Roma era ovviamente il conseguimento del pieno dominio politico-economico su Capua e la sua piana: dopo la definitiva sconfitta dei Sanniti le alleanze tra Roma e le città campane lasciarono sempre meno margine all'autonomia di queste ultime. Ciononostante le grandi potenzialità produttive di Capua rimasero sostanzialmente inalterate.




Greci provenienti da Kyme in Eubea fondarono la fiera Cuma.

Secondo la tradizione, nell'VIII secolo a.C. (circa il 770-760), genti calcidesi ed eretriesi si attestarono sull'isola d'Ischia, fondando Pithekoussai (nell'area dell'attuale Monte Vico), un emporio commerciale sulle rotte euboiche che dalla costa siriaca di "Al Mina", attraverso Corfù e lo stretto di Messina, conducevano alle coste tirreniche. L'insediamento commerciale, un emporio delle mercanzie, si attestò in un'area che era stata per la verità oggetto di frequentazioni micenee più antiche e che forse, nella tradizione orale tramandata nelle terre d'origine, avevano testimoniato l'esistenza di territori fertili dai climi caldi verso occidente, dove muore il sole. I racconti dei naviganti euboici tornati in patria devettero sollecitare la necessità di quelle genti greche ad emigrare verso nuove terre per sfuggire a carestie ma anche a governi tirannici. E' probabile che proprio su queste basi dovette formarsi il primitivo nucleo di coloni che, pochi decenni dopo la fondazione di Pithekoussai, arrivarono sulla terraferma campana. Spinti dall'esigenza di creare un forte nucleo sociale egemone sia dal punto di vista economico sia militare fondarono Cuma (intorno al 730 a.C.), la prima vera e propria colonia calcidese in Italia.
Per gli antichi navigatori greci, l'isolata rocca sul mare dominante l'infinita pianura di quello che sarà poi l'Agro Campano dovette rappresentare il miglior punto di approdo della costa e un sito ottimale per la costruzione di un insediamento e per la successiva protezione delle proprie genti e nevralgico per il controllo che queste potevano operare su un ampia fascia sia di terra che di mare. Risorse naturali come acqua, legname, selvaggina e terra fertile da coltivare erano così in abbondanza tanto che, per un pugno di persone che avevano lasciato la terra natia per questioni politiche ma forse anche per una grave carestia, dovette sembrare la terra promessa.


La coppa di Nestore

La "Coppa di Nestore" da Pithekoussai (Ischia) 730 a.C. circa (4).



La più antica iscrizione metrica in greco conosciuta
in Italia, incisa sulla "Coppa di Nestore".



Secondo Strabone furono Ippocle di Kyme e Megastene di Chalcis, ambedue provenienti da cittadine dell'Eubea, a guidare i coloni, assistiti durante il loro viaggio da una colomba di giorno e dal suono di bronzei cembali di notte e propiziato da Apollo che ne tracciò anche la


La pianta della città di Cuma.
 
rotta. Non è chiaro come mai la nuova colonia venne deno-minata Kyme, forse un omaggio dei coloni a Ippocle che, più di altri, li aveva esortati a compiere il viaggio.
Un'altra tradizione vuole che la Kyme di provenienza fosse in Asia minore e ciò attesterebbe come la spedizione dei coloni fosse in realtà composta da più gruppi di diversa es-trazione geografica. Il suo nome venne deciso dopo un accordo tra i coloni
stessi, dove si decise che il nome ricordasse la città di provenienza del gruppo di Kyme ma fosse considerata colonia di Calcide. Detentori di una cultura e di una tecnologia superiore rispetto alle genti italiche che stanziavano in quei luoghi, di cui recenti scavi archeologici hanno restituito sepolture a cremazione con urne in fossa, non fu difficile per gli euboici insediarsi in quelle terre dove, almeno in un primo periodo, riuscirono a convivere pacificamente con gli abitanti originari. In seguito dovette succedere qualcosa che permise ai coloni greci di farsi largo e cacciare via gli antichi abitatori, a giudicare dall'assenza nel territorio di altre tracce indigene a partire dalla seconda metà dell'VIII secolo a.C.
Iniziava così quella lenta penetrazione nell'agro circostante che dette vita, in pochi decenni, ad insediamenti nella pianura e sulla costa campana, apportando nuova civiltà ed irradiando un facile sistema per comunicare: la scrittura.
La rocca di Cuma, munita di ripidi strapiombi di roccia vulcanica e di tufo su quasi tutti i lati ed accessibile solo dalla parte meridionale, si rivelò strategica per il controllo delle antiche rotte commerciali che univano approdi costieri della Sicilia e dello Ionio con il medio Tirreno. La sua posizione, egemone rispetto al circondario, facilitava i traffici di mercanzie che trovavano un sicuro ricovero ed un facile smistamento, oltre che sul mare, anche sulla terraferma, creando un fiorente mercato con l'Etruria ed il Lazio, nonchè tra queste terre e le colonie calcidesi della Magna Grecia e della Sicilia.
Questi traffici di persone e di mercanzie richiamarono nel nuovo insediamento cumano una gran quantità di gente, di diversa estrazione etnica, che funse da vettore e quindi contribuì all'irraggiamento degli usi e costumi, della cultura e della religione ellenica nella penisola italiana. Etruschi, Latini, Sanniti e tutte le popolazioni osche circostanti beneficiarono del rapporto non solo commerciale che ebbero con le genti elleniche approdate su quelle coste, sviluppando forme di acculturamento che portarono alla nascita dell'alfabeto e quindi della scrittura nei diversi popoli italici. Infatti la nascita della scrittura etrusca si fa risalire ad un periodo intorno alla metà del VII secolo a.C. e l'osco ad un periodo successivo, quando le frequentazioni sannite con gli Etruschi di Capua ma anche con i Greci di Cuma iniziarono a farsi più intense.


Cuma - Ruderi del santuario di Apollo

Cuma - Ruderi del santuario di Apollo sulla terrazza inferiore dell'Acropoli.

Gli scavi archeologici riferiscono che tra la fine dell'VIII e l'inizio del VII secolo a.C. si creò tra i coloni una classe aristocratica i cui corredi funebri erano molto ricchi, più ricchi dei contemporanei euboici e perfino delle colonie calcidesi in Sicilia. Ciò grazie all'enorme ricchezza accumulata in pochi decenni, frutto della grande mole di traffico commerciale e di scambi marittimi, unitamente ad uno sfruttamento intensivo del territorio con colture di cereali, frutteti e vigneti.
Cuma cercò presto di consolidare la sua presenza sulle coste circostanti, per migliorare il controllo delle rotte mercantili. La ricerca archeologica ci ha rivelato alcuni di questi approdi sicuri, come Miseno, oppure un insediamento dove sorgerà più tardi Puteoli, un altro sulla punta di Pizzofalcone e poi sull'isolotto di Megaride (l'attuale Castel dell'Ovo) ed uno a Capri. Alla fine del VII secolo a.C. la storiografia ci indica l'esistenza sulla costa di un insediamento, da alcuni fondato dai Cumani, da altri attribuito ai Rodi, chiamato Parthenope a ricordo di una sirena celebrata con un monumento e con giochi ginnici, secondo quanto era stato stabilito da un oracolo.
Con la creazione di questi capisaldi, i Cumani ebbero il pieno controllo del golfo (quello di Napoli che anticamente era chiamato di Cuma).
Nel VI secolo concessero ad un gruppo di esuli provenienti dall'isola di Samo, fuggiti dalla tirannide di Policrate, l'autorizzazione ad insediarsi nel proprio territorio, fondando Dicearkia (la città del giusto governo) nei pressi dell'attuale Pozzuoli.




Cuma - La via Sacra che conduce all'Acropoli.

In verità il VI secolo fu un periodo cruciale, un'epoca d'espansione per molte delle colonie greche d'Italia i cui commerci iniziarono a contrastare seriamente con gli interessi delle popolazioni a loro contigue, tra cui gli Etruschi stanziati nell'entroterra campano, a cui i Greci avevano tagliato loro qualsiasi accesso al mare lungo la costa. Genti di Sibari fondarono Poseidonia (Paestum) nel medio Tirreno, ma i Focei si spinsero persino sulle coste della Provenza fondando Marsiglia ed in Corsica fondando Alalia (l'odierna Aleria). I Focei provenivano da Phocaea, in Asia minore, vicini alla Kyme asiatica (che poi erano città della sponda egea opposta all'Eubea) dove la tradizione vuole siano partiti una parte dei coloni approdati a Cuma.
Questa attiva presenza di genti dell'Egeo nel Tirreno provocò una violenta reazione degli Etruschi ma anche dei Cartaginesi, che accusavano i coloni di atti di pirateria, una provocazione che sfociò in seguito nella grande battaglia navale svoltasi davanti le coste di Alalia, dove gli Etruschi fecero strage di Greci. Solo venti delle sessanta navi focee scamparono all'affondamento ed i prigionieri furono lapidati dagli


L'antro della Sibilla Cumana (4).
 
Etruschi sotto le mura di Agylla (Cerveteri). I superstiti di Alalia, con l'aiuto dei Reggini, fondarono poi la colonia di Elea (Velia).
La violenta reazione degli Etruschi contro i coloni focei allertò le cittadine del golfo che temevano i risvolti negativi che quella vittoria poteva apportare. I cumani dovettero così fronteggiare la situazione venutasi a creare tra le colonie etrusche della Campania (Capua, Nola, Nocera), alleatesi con le genti autoctone, come gli Aurunci che mal sopportavano l'egemonia di Cuma e contro cui spesso si erano scontrati, ma anche con le popolazioni umbre e daune. L'idea di ridimensionare le mire dei Greci in quella parte d'Italia divenne l'obiettivo primario degli Etruschi.
Così, nel 524 a.C., passarono all'offensiva ed assalirono Cuma. Scontratisi però nei terreni paludosi intorno alla città, gli Etruschi ebbero la peggio e furono sopraffatti. I profondi contrasti tra i vari popoli dell'agro campano ed i Cumani alimentarono decenni e decenni di lotte e di scontri con esiti a favore di entrambi gli schieramenti. Questo periodo di continua violenza sfociò nel 474 a.C. in una delle battaglie navali più famose dell'antichità, svoltesi proprio nelle acque prospicienti Cuma.


Ricostruzione di una nave da guerra etrusca del V secolo a.C.

I Greci, consapevoli che le loro navi adatte al trasporto delle merci non potevano certo competere con le possenti navi da guerra etrusche, chiesero l'aiuto alle genti amiche di Siracusa il cui tiranno, Ierone, in un'epica battaglia sul mare distrusse l'intera flotta nemica debellando definitivamente il pericolo etrusco che per decenni aveva limitato le mire espansionistiche cumane.
Questi avvenimenti portarono ad una lenta ed inevitabile decadenza politica e sociale sia degli insediamenti Etruschi in Campania sia di Cuma che, affidandosi ai siracusani, gli aveva praticamente aperto le porte del controllo del golfo. Siracusa rapidamente insediò un presidio a Pithekoussai e fondò una "città nuova" adiacente Parthenope, Neapolis, che in poco tempo soppiantò Cuma, destituendola da qualsiasi attività di controllo territoriale.
 

Reperti provenienti dalla tomba 104.
Cuma - Fine VIII secolo a.C.
In questo contesto di decadenza politica delle due grandi potenze economiche tirreniche (e dell'agro capuano) trovarono varco le ambizioni espansionistiche dei Sanniti che, già prima del V secolo a.C., miravano ad entrare nel giro dei grandi traffici commerciali gestiti dai Greci sulle coste campane. Inoltre le grandi mandrie del bestiame allevato, che in estate stanziavano sugli altipiani appenninici, d'inverno avevano bisogno di pascoli in zone temperate ed il territorio dell'agro capuano si presentava tanto a portata di mano da rappresentare la migliore soluzione per soddisfare le esigenze degli allevatori sanniti.

Alabastron di produzione corinzia dalla necropoli di Cuma - VII secolo a.C.
 
L'inconveniente era che le grandi masse di armenti e di bovini avevano bisogno di consistenti quantità di acqua e di foraggio, quindi grandi spazi aperti. Le famiglie latifondiste di origine etrusca stanziate nell'agro capuano videro subito, in quella enorme massa di animali, una minaccia alle proprie colture tanto da ostacolare in ogni modo, anche con le armi, gli allevatori-pastori. In questo modo dovettero provocare l'intervento della Lega Sannitica che sicuramente, sulle prime, si astenne dal rispondere con le armi contro i grandi insediamenti della pianura per non compromettere anche i rapporti commerciali con quelle popolazioni etrusche. E' probabile che, almeno nei primi tempi, si dovette ricorrere molto alla diplomazia tanto da ristabilire un certo equilibrio tra le esigenze delle diverse attività economiche: l'allevamento e l'agricoltura.
La lenta penetrazione di elementi Sanniti tra le genti Etrusche fu la leva che scardinò la loro organizzazione sociale e commerciale, cioè il lento infiltrarsi nel tessuto sociale ed economico portò col tempo all'esautorazione totale del potere politico dei Tirreni, sostituiti da elementi di origine osca.
Nel 423 a.C. l'etrusca Capua cadde sotto il controllo sannita ed in seguito anche tutte le colonie che un tempo erano state etrusche, come Nola e Nucera, si piegarono alla volontà del nuovo popolo osco nato dall'aggregazione dei popoli nativi di quella pianura: i Campani. Sulla costa la politica d'espansione sannita dovette scontrarsi contro la risolutezza dell'ambiente colonico greco, forse perchè questi ultimi capirono l'astuto gioco che i Sanniti andavano conducendo, ma nulla potettero contro di loro. Cuma fu presa con la forza nel 421 a.C. ed in seguito le schiere del Sannio occuparono Dicearkia ed istaurarono un dominio politico su Neapolis che durò svariati decenni.
L'arrivo dei Sanniti a Cuma segnò l'inizio della sua rinascita politica e culturale, anche se la città non ricoprirà più il ruolo egemone che aveva avuto durante il periodo greco.
Le genti osche avevano appreso molto dal contatto con le popolazioni elleniche della costa ed etrusche dell'entroterra campano, facendo compiere alla loro civiltà un significativo balzo in avanti.
A Cuma risistemarono i templi sull'acropoli (6) e costruirono il tempio su podio italico che sarà in seguito trasformato nel
  Affresco da Cuma - Cliccare per accedere alla scheda

Lastra funeraria dipinta con scena di toletta
femminile (7). Cuma - IV secolo a.C.
Capitolium, e dotarono la città di una nuova e più possente struttura difensiva, mentre nella parte bassa dell'abitato costruirono nuovi edifici rispettando le regole urbanistiche ippodamee introdotte dai greci.




Elmo in bronzo frutto del bottino che Ierone di Siracusa prelevò
agli Etruschi nella battaglia di Cuma (474 a.C.). Con iscrizione in
greco, ritrovato presso il santuario di Delfi.





Marcina, fondata dagli Etruschi ed abitata dai Sanniti.
di Giovanna Greco e Angela Pontrandolfo

Le prime scoperte relative alle necropoli di Fratte, forse l'antica Marcina, risalgono agli anni 1829 e 1835 quando, nell’area in cui si stavano costruendo gli edifici delle Manifatture Cotoniere Meridionali, furono ritrovati alcuni materiali di cui una decina piuttosto eterogenei. Databili dal VI secolo a.C. al II d.C., sono ancora oggi in possesso della famiglia Wenner, di origine svizzera, allora proprietari delle filande e attualmente residente a Zurigo. Altri oggetti furono donati nel 1866 dall’ingegnere Schulthess-Brunner alla Società Antiquaria di Zurigo, poi confluita nella Collezione Archeologica dell’Università di quella città.
Di questi materiali solo tre recano ancora la segnalazione della provenienza "da Salerno" o "presso Salerno" e sono una coppa ionica, una di bucchero ed una lekythos baccellata a vernice nera. Forse altri vasi ancora, in gran parte di IV secolo a.C., conservati al Museo di Ginevra con l’annotazione "provenienti da Salerno" facevano parte dello stesso nucleo recuperato durante la costruzione delle cotoniere.
Successivamente, nel 1879, non lontano dalle fabbriche, nel fondo Giardinetto, poco distante dalla zona ancora oggi denominata "villini svizzeri" per gli edifici che vi insistono e dove i Wenner avevano le loro abitazioni, durante alcuni lavori per l’impianto di un pergolato fu portata alla luce una piccola necropoli di undici tombe a cassa di tufo e copertura a doppio spiovente e in tegole.
Una notizia fu data dal Fiorelli che, in seguito, insieme al rapporto del rinvenimento inviatogli dall’ingegnere Pecori, descrisse sommariamente i vasi di una tomba attribuibile al IV secolo a.C.

Gli scavi archeologici condotti a Fratte di Salerno (8) hanno consentito di delineare un quadro approfondito della complessa realtà di un insediamento etrusco della Campania meridionale. Marcina, citata da Strabone come "fondata dai Tirreni ed abitata dai Sanniti", potrebbe essere identificata con quest'area occupata da tempi arcaici e situata sulla riva sinistra del fiume Irno, nel punto in cui confluisce il torrente Pastorano che separa la collina occupata dall'abitato da quella destinata alla necropoli.
La documentazione relativa all'iniziale occupazione del sito (fine VII - prima metà del VI secolo a.C.) è segnata nell'abitato esclusivamente da frammenti ceramici (prevalentemente impasti) rinvenuti in alcuni casi in giacitura primaria sul piano roccioso lavorato; nella necropoli, invece, da alcune sepolture i cui corredi sono costituiti essenzialmente da vasi di bucchero associati talvolta ad oggetti di importazione corinzia e a fibule di bronzo con arco a bozze, peculiari di alcune comunità italiche gravitanti lungo il Liri, il Sacco e il Volturno.

A partire dall'ultimo quarto del VI secolo a.C. fino agli anni intorno al 480 a.C., l'insediamento ha un incremento notevole, quantitativo e qualitativo, segnato sia dal sorgere di edifici monumentali nell'area urbana sia dall'accrescersi del numero delle sepolture e dalla maggiore ricchezza dei loro corredi. A questo periodo va ascritta, infatti, una serie di membrature architettoniche in tufo grigio locale pertinenti, molto probabilmente, ad un unico edificio monumentale che certamente svolgeva una funzione politico-sociale.
E' interessante rilevare la peculiarità delle modanature lapidee che, da un lato, riflettono tipologie proprie del mondo magnogreco e suggeriscono la presenza di una mano d'opera specializzata proveniente, con ogni probabilità, dalla vicina Poseidonia (Paestum); e dall'altro lato, nella mistione di «stili» e «linguaggi» differenti tradotti nel tufo locale, connotano una realtà eterogenea e complessa, dove si incontrano e si elaborano in forme originali suggestioni provenienti da ambienti diversi.
Alla fine del VI secolo a.C. compare, inoltre, una notevole quantità di elementi decorativi architettonici in terracotta policroma, funzionali alla protezione della travatura lignea dei tetti. Il piú antico sistema di copertura individuato a Fratte rientra in una tipologia cosiddetta "campana" ed è composto da antefisse a testa femminile entro nimbo baccellato, tegole terminali dipinte a fasce policrome, lastre di rivestimento e acroteri a disco. Gli elementi in terracotta traggono il loro modello, e a volte le stesse matrici, dalla vicina Capua, che costituisce in questo momento il referente principale per la comunità che si va organizzando sulle colline di Scigliato.
In gran parte prodotta sul luogo è anche la ceramica, quella di bucchero, a vernice nera e acroma con decorazione lineare, ampiamente presente nell'abitato e nella necropoli. I corredi relativi a questa fase, tra la fine del VI e gl'inizi del V secolo a.C., sono di norma composti da coppe, coppette (kylikes), brocche (oinochoai) prodotte localmente ed evidentemente legate alle pratiche di rituale della deposizione (a fossa con cadavere supino). Un numero consistente di sepolture, però, è contraddistinto dalla presenza di grossi vasi contenitori destinati ad accumulo di cereali e di liquidi, essenzialmente il vino come lasciano ipotizzare le anfore di tipo massaliota. Le sepolture sono fisicamente raggruppate in nuclei piú o meno densi, talvolta disposti in cerchio intorno ad uno spazio vuoto; i gruppi sono a loro volta divisi gli uni dagli altri e sembrano indicare una ripartizione dello spazio corrispondente ad una divisione per nuclei familiari.
 
Vaso (deinos) a figure nere su alto sostegno - fine VI secolo a.C. (9)
Tra questi emerge un nucleo contraddistinto da corredi di eccezionale qualità, composti prevalentemente da vasi attici di notevole pregio e dimensioni. Questi vasi sono crateri, coppe (kylikes) e brocche (oinochoai), che costituiscono un servizio destinato al consumo del vino e lasciano intuire l'adesione a un modello elitario ben documentato in tutto il mondo etrusco e indigeno dell'Italia meridionale.




Particolare dell'orlo del vaso a figure nere.

Di particolare pregio è una serie di vasi attici a figure nere e rosse, che erano collocati molto ravvicinati in uno spazio ben circoscritto e probabilmente destinati a contenere incinerati, secondo un rito riservato all'élite aristocratica. Notevole è un "deinos" su alto sostegno, decorato sul bordo interno del labbro da una serie di navi e sul corpo da una scena raffigurante un corteo di divinità; per le forti affinità stilistiche con l'esemplare rinvenuto all'Heraion del Sele, esso è stato attribuito alla cerchia del pittore di Antimenes (fine del VI secolo a.C.).
Opera del pittore di Kleophrades e dunque datata al primo quarto del V secolo a.C. è l'hydria (vaso per acqua) con scena teatrale sul corpo ed Eracle dormiente derubato delle armi dai satiri sulla spalla; splendida è la figura dell'attore, riprodotta nell'atto di togliersi la maschera dal volto rappresentato di pieno prospetto. Con gli inizi del V secolo a.C.


Situla in bronzo.
V secolo a.C.
 
alcune sepolture di inumati sono contraddistinte da corredi composti quasi esclusivamente da oggetti in bronzo (colini, situle, attingitoi, brocchette) di produzione vulcente, a cui si accompagnano alari e spiedi in ferro: un ulteriore segno dell'ampia circolazione di beni all'interno della comunità. Tali evidenze lasciano presupporre che, in questo momento, l'insediamento si vada strutturando in maniera «urbana»; e non sembra azzardato avanzare l'ipotesi che possa corrispondere alla Marcina citata da Strabone: "Tra le Sirenusse e Poseidonia (si trova) Marcina, fondazione dei Tirreni, abitata dai Sanniti. Da qui a Pompei, attraverso Nuceria, vi è un istmo di non piú di 120 stadi".
Inoltre, le numerose iscrizioni rinvenute attestano che la compagine sociale dell'insediamento era costituita essenzialmente da Etruschi, Greci ed Oschi. Ciò, d'altro canto, si registra negli altri insediamenti distribuiti in quell'ampio territorio che va dalla costiera sorrentina al Sele, dove gli Etruschi fondarono dodici città e che la tradizione antica ricorda come proprio delle genti etrusche.
Questo processo si esaurisce nel corso della seconda metà del V secolo a.C., quando scompare del tutto ogni tipo di importazione, i corredi si impoveriscono e il numero delle sepolture decresce fino a cessare del tutto. Anche nell'abitato si registra una fase di abbandono, segnata intorno agli ultimi decenni del V secolo a.C. da uno spesso strato di argilla giallastra sterile di formazione naturale, che ricopre tutta l'area
 

Particolare del manico della situla in bronzo.
obliterando i monumenti preesistenti. Solo nella seconda metà del IV secolo a.C. su questo livello di argilla giallastra s'impianta una serie di strutture che segnano un momento di rioccupazione vitale dell'area. Viene infatti ora impiantata una grande strada acciottolata, che in parte riutilizza e in parte ricopre strutture preesistenti; e viene edificato un grande muro di terrazzamento, che anch'esso riutilizza parzialmente strutture monumentali preesistenti, e le ingloba. La riedificazione dell'abitato si colloca, grazie ai materiali ceramici recuperati nei sondaggi stratigrafici, nella seconda metà del IV secolo a.C. Esso occupava un'area piuttosto estesa, andata quasi totalmente distrutta dalla speculazione edilizia degli anni Cinquanta.
Il segno più evidente di una nuova e diversa rivitalizzazione dell'insediamento è dato dalle numerosissime terrecotte architettoniche, che consentono di ipotizzare la presenza di un notevole numero di edifici dai tetti decorati con sistemi differenti di ornamenta-
zioni fittili architettoniche.
l repertorio di base dei motivi figurativi trae le sue origini in quella ricca e articolata koiné ellenistica che, irradiandosi dalle città greche di Siracusa e di Taranto, appiattisce tutta la produzione delle officine italiche su un gusto comune generalizzato.
In esso la peculiarità e, se si vuole, l'originalità delle singole produzioni rimangono prevalen-temente legate ad una committenza piú semplice e meno abbiente. Le terrecotte architettoniche di Fratte, pur mantenendo ancora molto stretti i legami con Capua, risentono di questa comune e
 
Antefissa in terracotta, con testa
femminile entro nimbo e fiori di loto.
Ultimi decenni del VI secolo a.C.
diffusa ellenizzazione, che impronta di sé tutta la produzione italica del primo ellenismo. Esse realizzano una perfetta osmosi tra le componenti del sostrato etrusco-italico e gli stimoli provenienti dagli ambienti italiota e siceliota. Si conservano numerose lastre di sima rampante con testa di Athena fra racemi e fascia piana dipinta; inoltre una bella serie di antefisse a lastra pentagonale con testa di Athena elmata pertinenti probabilmente alla decorazione di un unico edificio, a cui potrebbe appartenere il famosissimo clipeo frontonale con Eracle che strozza il leone Nemeo. Un altro tetto era decorato da lastre di sima e lastre di
Ercole contro il leone Nemeo

Clipeo frontonale con Eracle che strozza
il leone nemeo - fine IV secolo a.C.
 
rivestimento decorate da un motivo vegetale caratteristico, che ha proprio in area campana la sua maggiore diffusione e documentazione. Un'altra serie di terrecotte architettoniche, costi-tuite prevalentemente da antefisse di piccolo modulo, appartiene a una produzione meno colta ed ellenizzata, che si caratterizza essenzialmente per il legame a schemi e prototipi tardo-arcaici e per una realizza-zione formale puramente italica. Sono antefisse a testa di menade o di sileno o ancora a testa femminile entro un nimbo baccellato.
La ricchezza, la varietà e il livello qualitativo delle botteghe artigianali di Fratte trova ampia documentazione nel gran numero di busti, teste, statuette, offerte votive, legati alla vita di un santuario, che si collocano quasi esclusivamente tra la seconda metà del IV e la fine del III secolo a.C.
Una splendida serie di busti femminili da un lato prova gli stretti legami con la Sicilia (Siracusa in particolare); dall'altro, collocandosi all'inizio della serie campana, ne documenta i prototipi piú antichi. Fortissimi sono i legami con l'ambiente pestano da cui provengono le matrici per una serie di statuine femminili sedute in trono con porcellino; e molto interessanti sono le interpretazioni locali, il cui linguaggio formale e stilistico è ormai puramente italico. Alla fase sannitica del centro appartengono anche alcune sculture in pietra di cui la piú impegnativa è un gruppo equestre che, per la resa tecnica e formale, trova stretti rapporti nell'area sannitica, tra Agnone e Trivento.
 
Divinità femminile in trono - IV secolo a.C.
Il cavaliere, fisso in una staticità quasi innaturale, rappresenta un'immagine simbolo, celebrativa di uno stato sociale, e trova forti assonanze nello schema con le raffigurazioni della pittura funeraria e vascolare di ambito campano del IV secolo a.C. Sia che fosse collocata in un luogo destinato a svolgere funzioni collettive sia che facesse parte di un monumento funerario, la statua vuole rappresentare una
Sanniti

Cavaliere da Trivento (Molise)
 
figura che l'ideologia del gruppo o della comunità riconosce come eminente.
La ricca e articolata attività dell'insedia-mento trova, inoltre, una splendida documentazione nel vasellame di uso domestico, nella produzione della vernice nera e di una notevole serie di louteria (bacili su piedistallo) in terracotta con bordi decorati a stampo; e infine culmina in una produzione non abbondante ma omogenea di ceramica a figure rosse, la cui attribuzione ad un'officina di Fratte
era già stata proposta da Arthur D. Trendall. Nella seconda metà del III secolo a.C. l'abitato subisce una violenta distruzione e viene rimosso, così come testimonia un imponente scarico che oblitera completamente la bella strada acciottolata.
I materiali successivi alla fine del III secolo a.C. sembrano mancare del tutto e i pochi frammenti vascolari ascrivibili ancora entro la prima metà del II secolo a.C. sono il segno di una continuità di vita senza dubbio ridotta e impoverita, che cessa del tutto intorno alla metà del secolo stesso. Da ultimo, la presenza romana sul sito è documentata, a livello di materiali, da due antefisse provenienti dall'area romana-urbana, databili tra il I secolo a.C. e il I d.C., e da strutture funzionali limitate a la parte occidentale del pianoro.
 

La grande strada acciottolata.
IV secolo a.C.
Esse non prefigurano un centro urbano, quanto piuttosto una forma di occupazione del territorio gravitante sulla colonia romana di Salernum.

 


Nola, la sannita Nuvla.

Le origini del primitivo insediamento antropico si perdono nei meandri del tempo e la vetustà della cittadina è venuta maggiormente ad attestarsi in questo ultimo periodo dopo il ritrovamento di un isediamento dell'Età del Bronzo ubicato nei suoi pressi. Il nome della cittadina dovrebbe essere molto antico, testimoniatoci nella sua forma attuale sia da Appiano che da Strabone che da Plinio. Incerta appare anche la paternità del primo insediamento che potremmo definire stabile, cioè con una sorta di urbanizzazione, poichè le fonti non coinvergono verso un unanime consenso. L'impronta urbanistica originale è rimasta però inalterata nel tempo, come gli scavi archeologici hanno attestato, con un insediamento ripartito in spazi riservati all'abitato all'interno della cerchia muraria e all'esterno le necropoli, aree ben distinti e riconoscibili per tutto il corso della sua esistenza.
Le origini urbane sono ricondotte, secondo le diverse tradizioni, agli Ausoni (Ecateo di Mileto e Polibio, secondo Stefanio di Bisanzio II, 17, 1; Antioco di Siracusa in Strabone V, 4, 3), agli Etruschi (Catone e Velleio Patercolo in Velleio Hist. Romana 1, 7) o ai Calcidesi (Giustino Epit. Hist. Philippicarum Pompe Trogi XX, 1 e Silio Italico in Punica XII, 161 ss.).
Gli scavi condotti per il mero recupero di materiale antico effettuati nel XVIII secolo, che hanno riportato alla luce interi corredi di vasellame ceramico, hanno portato anche alla depauperizzazione di un intero territorio, sottraendo importanti testimonianze d'arte che ancora oggi costituiscono i pezzi pregevoli di numerose collezioni private e musei dell'intero pianeta. La mancanza di documentazione scientifica durante le operazioni di scavo ha vanificato qualsiasi processo di identificazione tramite associa-zione degli oggetti pertinenti alle sepolture per stabilirne la datazione oppure una sicura appartenenza ad un determinato gruppo etnico o sociale.
 
Antica mappa di Nola dal Pacichelli.
Le indagini condotte in seguito, agli inizi del XIX secolo, sulle antiche necropoli nolane sono invece riportate in alcuni lavori come il manoscritto di P. Vivenzio, "Sepulcres de Nola ou Examen de diverses Epoques de peindre les vases d'argile chez les Egyptiens, les Etrusques et les Grecs" datato 1806 oppure i volumi di A. De Jorio, "Metodo per rinvenire e frugare i sepolcri degli Antichi - Napoli 1824" ed anche R. Gargiulo "Cenni sulla maniera di rinvenire i vasi fittili italo-greci, sulla loro costruzione, sulle loro fabbriche più distinte e sulla progressione e decadimento dell'arte vasaria - Napoli 1843".
Le ceramiche nolane datate tra il IX e VIII secolo a.C. di sicura provenienza sono molto scarse, mentre sono numericamente più consistenti quelle tra la fine dell'VIII secolo ed il VII a.C. quando, insieme a prodotti corinzi compaiono vasi d'impasto buccheroide e vasellame in bucchero vero e proprio. E' databile intorno al primo quarto del VI secolo a.C. il più antico vaso attico a figure nere, un oinochoe del Pittore della Gorgone conservato presso il British Museum di Londra.
A quell'epoca, tra il VII ed il VI secolo a.C., Nola sembra ricevere un più attento assetto urbanistico, collegato ad un ampio processo di crescita indotto dalle diverse comunità di genti italiche affacciatesi nell'agro campano. Nello stesso periodo ricevono un assetto urbano anche gli insediamenti di Capua e, nella valle del Sarno, Nocera e Pompei.
Questa fu anche l'epoca d'oro dei traffici e dei commerci che Nola, rifornendo Neapolis dei cereali accumulati negli enormi granai frutto dell'opulenza delle sue terre, riuscì a sfruttare calandosi nella parte di maggior centro commerciale della Campania meridionale.
I coloni greci della costa, in particolare Neapolis, erano i maggiori acquirenti che, tramite le grosse navi mercantili dalle grandi stive, inviavano il grano acquistato verso la madre patria. Questo accordo tra la "città nuova" greca e la "città nuova" campana apportò a quest'ultima un'enorme ricchezza attestata proprio dai corredi funebri di grande importanza rinvenuti nelle sue necropoli, composti da pregiate ceramiche attiche frutto proprio degli scambi in quell'osmosi commerciale.
Nella seconda metà del VI secolo a.C. è attestato un aumento dell'importazione di ceramica attica di cui se ne troverà traccia fino agli inizi del V secolo.



Moneta in argento della città di Neapolis, con testa femminile sul dritto e toro a testa
umana, coronato dalla vittoria alata, sul rovescio. Fine V secolo a.C.
Napoli, Museo Archeologico Nazionale.




Moneta in argento della città di Nola, con testa femminile sul dritto e toro a testa
umana, coronato dalla vittoria alata, sul rovescio. Fine V secolo a.C.
Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

Un accordo significativo che testimonia la piena integrazione tra i due centri è documentato dalla monetazione che la zecca di Napoli batteva per Nola proprio alla fine del V secolo a.C.
A quell'epoca infatti risalgono le monete d'argento nolane dello stesso tipo di quelle di Napoli, ma sulle quali era riprodotto il nome dei NOLANI in lettere greche, a ribadire una comune origine culturale con i Greci del Golfo.
Tra il VI ed il V secolo a.C. le infiltrazioni di coloni etruschi iniziarono a farsi più consistenti, testimoniate dai ritrovamenti di vasellame in bucchero negli scavi delle necropoli. La compagine etrusca sembra essere quella che, per un lungo periodo, manterrà saldamente nelle proprie mani l'egemonia del potere politico, attestato dalle diverse testimonianze archeologiche consistenti oltre che da vasellame anche da oggetti e tavolette scritte in etrusco.
Infatti tra il VI e la prima metà del V secolo a.C. le iscrizioni rinvenute sono in lingua etrusca; nella seconda metà del V secolo a.C. compaiono le prime iscrizioni in osco, l'antico dialetto parlato dalle popolazioni locali che, in epoca arcaica, dettero anche il nome alla città.
L'alfabeto usato inizialmente fu quello introdotto dagli Etruschi in Campania nel VII secolo a.C.; esso sarà modificato in seguito per essere adattato alle esigenze dell'osco, divenuta ormai la lingua dominante.
Infatti verso il primo quarto del V secolo a.C. si troverà nelle necropoli nolane solo ceramica campana sia a vernice nera che a figure rosse, attestando così la tradizione che vuole la nascita dell'egemonia del popolo Campano in quei territori proprio in quell'epoca.
Durante i conflitti delle guerre contro Roma, i nolani furono solidali con i Sanniti, fornendo armi e guerrieri. Importante fu l'appoggio dato ai Sanniti durante la presa di Neapolis del 328 a.C.
  Sanniti

Lastra dipinta con cavaliere sannita. Nola, tomba di via Crocifisso (fine del IV secolo a.C.)(10).




Dall'etrusca Noukria alla sannita Nuceria.
di Emidio De Albentiis

L'antica Nuceria sorgeva su una lieve altura in una conca circondata da colline a tratti anche aspre, nel bacino del fiume Sarno, un corso d'acqua che forma nel suo tratto terminale una piana fertilissima, anche grazie alla presenza di componenti naturali di origine vulcanica, dal momento che il Sarno va a sfociare nel Golfo di Napoli poco lontano da Pompei e dall'imponente mole del Vesuvio.
La posizione di Nocera riservava vantaggi di natura strategica: la cittadina era posta sul percorso più breve tra l'agro sarnense, Salerno e la piana del Sele. A breve distanza da Nocera si trova infatti il valico più comodo (il passo di Cava dei Tirreni) per passare dal comprensorio vesuviano alla zona salernitana.
La favorevole collocazione della città spiega l'importanza che ebbe a Nocera la grande viabilità: i Romani, valorizzando percorsi di origine assai antica, implicitamente suggeriti dalla morfologia naturale del territorio, allestirono nel II secolo a.C. la via Popilia, che si staccava dalla piana di Capua verso sud, dirigendosi verso Nola e Nocera, per poi superare il passo di Cava e raggiungere Salerno, il Vallo di Diano ed il lontano Bruzio.
A Nocera confluiva inoltre nella via Popilia l'importante strada costiera proveniente da Napoli e Pompei, che risaliva il corso del Sarno verso l'abitato nocerino. Non va dimenticato che da Nocera era possibile recarsi direttamente anche a Stabia e a Sorrento.
Al pari di altri centri campani il sito nocerino era caratterizzato in età arcaica (gli scavi delle necropoli più antiche hanno documentato più che altro l'orizzonte storico corrispondente al VI secolo a.C.) da elementi di cultura indigena fortemente influenzati da genti etrusche. Queste ultime, forse presenti in Campania fin dalla prima età del Ferro (IX-VIII secolo a.C.), attestano il notevole dinamismo del mondo sud-etrusco, l'odierno Lazio settentrionale, in grado di penetrare saldamente nel tessuto politico e socio-economico delle fertili plaghe agricole campane.
Non è senza significato che le fonti letterarie, Stefano Bizantino in particolare, presentino la Nuceria delle origini a volte come città etrusca, altre come centro degli Oschi: anche sulla base dei confronti istituibili con insediamenti prossimi a Nocera, come ad esempio Pompei, è verosimile ritenere che la città rientrasse nel novero degli abitati controllati in età arcaica dagli Etruschi, pur con il necessario coinvolgimento delle élites campane nella gestione del potere.
L'interesse degli Etruschi per Nocera era dovuto essenzialmente alla sua posizione strategica e alle ragguardevoli potenzialità agricole del suo territorio. La presenza etrusca in Campania subì, com'è noto, un forte ridimensionamento nel corso del V secolo a.C., quando una serie di cause concomitanti schiuse la strada delle pianure costiere alle popolazioni sannitiche dell'entroterra appenninico: anche Nocera cadde in mano dei Sanniti e, stando alla documentazione letteraria e numismatica, di un loro gruppo specifico, gli Alfaterni.
Possediamo solo pochi elementi relativi a Nuceria Alfaterna nel periodo compreso tra la calata sannitica ed il II secolo a.C., nonostante che la città abbia certamente giocato un ruolo importante, anche a livello politico (Lega Nocerina), nella fertile valle del Sarno: assai indicativo il suo rapporto con Roma, che da un'iniziale contrapposizione durante le dure guerre sannitiche della fine del IV secolo a.C. si trasformò in un patto di fedeltà conservato nei secoli.
Le indagini archeologiche di questi ultimi trent'anni hanno permesso di chiarire le caratteristiche fondamentali della struttura urbana dell'antica Nuceria, che si trovava per l'esattezza nell'odierna località Pareti di Nocera Superiore: la città era notevolmente estesa, ed aveva un perimetro di forma pressoché rettangolare, con le strade che dovevano incrociarsi ad angolo retto. Questi dati, validi più che altro per l'epoca del dominio romano, sono rafforzati anche dal rinvenimento di alcuni tratti degli antichi percorsi viari, fra i quali si possono ricordare le tracce del decumano massimo, corrispondente al tratto urbano della via Popilia, venute in luce presso il monumento più illustre di Nocera, il battistero paleocristiano.
Discretamente conservata è invece l'imponente cerchia muraria di Nocera, in particolare il settore meridionale, dove si può anche apprezzare una delle notevoli torri che caratterizzavano le mura nocerine: in esse dovevano aprirsi quattro porte, una al centro di ogni lato, in corrispondenza delle due strade principali dell'abitato. Le mura sono databili al III secolo a.C., in una fase storica in cui la città era ancora certamente di cultura sannitica.




Pompei, la Pompaios dei Sanniti nel golfo di Cuma.
di Emidio De Albentiis

Pompei, a buon diritto, può considerarsi uno dei siti archeologici più popolari dell'intero Mediterraneo: la città, posta su una modesta altura formata da un banco di antichissimo materiale vulcanico, si affaccia sul Golfo di Napoli, l'antico Golfo di Cuma, con la mole del Vesuvio alle spalle, nei pressi della foce del fiume Sarno, a non molti chilometri di distanza dalla dolcissima curva che segna l'inizio della penisola sorrentina, che si protende montuosa nel mare in direzione dell'isola di Capri.
Anticamente il profilo costiero e lo stesso percorso fluviale del Sarno erano diversi da quelli attuali, e l'altopiano di Pompei era considerevolmente più vicino al mare e alla stessa foce del fiume, che venne utilizzata come punto d'attracco per le imbarcazioni. Proprio questa particolare posizione, un abitato su una modesta ma riparata altura nei pressi di un porto naturale, è all'origine dello sviluppo della città, caratterizzata fin dai tempi più remoti da una vocazione commerciale, che costituisce una sorta di filo conduttore nelle diverse fasi della sua storia. Strabone, il noto geografo greco di età augustea, ci informa che Pompei era il porto su cui gravitavano gli interessi di tre importanti comunità dell'interno, Nola, Nocera e Acerra, quest'ultima a notevole distanza dalla città.




Panorama dell'area archeologica di Pompei.

Naturalmente Pompei trasse vantaggio anche dalla sua funzione di crocevia obbligato: la città si trova infatti proprio nel punto in cui, dalla importante via che da Napoli ed Ercolano si dirigeva verso Nocera e Salerno, si staccava la diramazione per Stabia (attuale Castellammare) e Sorrento. Questi percorsi, certo di origine assai antica, hanno lasciato tracce durevoli nei loro tratti compresi entro l'abitato, determinando buona parte dell'intero assetto urbanistico pompeiano.
Osservando la pianta di Pompei si coglie molto bene che la zona gravitante intorno alla piazza forense (regioni VII e VIII) si differenzia notevolmente dal resto della città a causa della maggiore irregolarità degli isolati e dell'andamento non sempre rettilineo di alcune vie e vicoli. Da tempo si è riconosciuto che questa parte dell'insediamento corrisponde al nucleo originario di Pompei, un abitato di piccole dimensioni delimitato da una ipotetica cerchia muraria coincidente a sud e a ovest con le mura successive, a nord e a est con il percorso irregolare rappresentato dalla linea vico dei Soprastanti - via degli Augustali - via del Lupanare - via dei Teatri: questo settore, e non l'incrocio via Stabiana con via dell'Abbondanza, come ritenevano gli studiosi del secolo scorso, è il nucleo generatore della città. Qui, a prescindere da recentissime teorie che vorrebbero riconoscere in questo settore due fasi successive, è importante sottolineare nuovamente il carattere di avamposto commerciale della Pompei primitiva, con le conseguenze che ne derivano: questo primo nucleo, abitato a partire almeno dal VII secolo a.C. da genti indigene, denominate Oschi dalle antiche fonti letterarie, va collocato in un orizzonte storico-culturale notevolmente vivace.




Pianta degli scavi archeologici di Pompei

Il Golfo di Napoli era stato interessato dalla colonizzazione greca già dall'VIII secolo a.C. (fondamentale la presenza di coloni euboici nell'isola d'Ischia e a Cuma), mentre fino alla fine del VI secolo a.C. le pianure campane erano state teatro dell'espansionismo etrusco: anche se è facile immaginare l'instabilità di base tra le varie componenti socio-politiche presenti nell'area del Golfo di Napoli tra l'VIII e il V secolo a.C., è proprio in questo periodo che le interrelazioni tra Greci, Etruschi ed indigeni campani portarono alla definitiva affermazione del modello insediativo della città.
La Pompei osca dell'età arcaica appare segnata già fin d'ora dalla sua natura di luogo di scambio, dato che spiega bene alcune caratteristiche grecizzanti riconoscibili nell'assetto urbanistico (una certa ortogonalità dell'impianto) e in alcuni culti fondati in quel periodo (tempio di Apollo nel foro, piazza che allora era di dimensioni ridotte rispetto alla sistemazione di età ellenistica tuttora visibile; tempio del Foro Triangolare, forse dedicato ad Eracle e ad Atena, edificio sacro in origine probabilmente extramurario, legato al vicino porto fluviale), e rende conto della presenza etrusca in città, testimoniata da alcune iscrizioni incise su frammenti di bucchero, il tipico prodotto ceramico di quel popolo in quella fase storica. Proprio gli Etruschi, almeno tra il VI e l'inizio del V secolo a.C., dovrebbero aver dominato Pompei anche a livello politico, ma tale supposizione urta contro la scarsità della nostra documentazione, ed è forse preferibile pensare ad una convergenza di interessi tra le varie élites dominanti.
Una delle chiavi di volta nella storia pompeiana è però la complessa situazione determinatasi in Campania nel corso del V secolo a.C., quando la perdita di forza degli Etruschi (sconfitti a Cuma nel 474 a.C. da una coalizione cumano-siracusana) e il successivo allentamento delle strutture sociopolitiche delle città costiere di cultura ellenica rafforzarono l'elemento sannita, alimentato dalla discesa verso le pianure e i centri del litorale tirrenico compiuta in quei decenni dalle popolazioni dell'entroterra montano del Sannio.
Il caso di Pompei è esemplare per questa particolare dinamica storica: più o meno a cavallo tra V e IV secolo a.C. la città è ormai saldamente in mano ai Sanniti, che ne promuovono lo sviluppo urbanistico, conseguente anche al consistente aumento demografico determinato dalla loro calata. Va chiarito preliminarmente che non bisogna vedere nei Sanniti una popolazione selvaggia dell'entroterra: in realtà proprio Pompei illustra efficacemente la profonda osmosi che lega questo popolo indigeno a quella particolare cultura elaborata nel Golfo di Napoli fin dall'età arcaica, risultante dal complesso amalgama descritto in precedenza.
Non è certo un caso che quando i Sanniti progettarono l'ampliamento del nucleo primitivo di Pompei si valsero di principi urbanistici di matrice grecizzante: fu allora che iniziò la progressiva occupazione dell'intero pianoro, esteso per circa 63,5 ettari, che venne cinto da una cerchia muraria in calcare (materiale ricavato da cave presso il fiume Sarno), lunga 3,2 km e realizzata nella caratteristica tecnica greca (ottimi confronti a Napoli e a Reggio Calabria) della doppia cortina: in pratica due linee murarie con una intercapedine riempita da un conglomerato formato da terra battuta e scaglie di pietra. E' noto che la cinta a doppia cortina venne preceduta da una cerchia costruita in blocchi di pappamonte (un tipo di tufo locale): dati recentissimi paiono indicare che essa risalga ad una fase molto antica (inizio VI secolo a.C.) e che, con ogni probabilità, abbia circondato l'intero pianoro della città. Questo dato non toglie comunque valore a quanto si è finora sostenuto sulla necessità di distinguere l'area della Pompei primitiva da quella della "grande" Pompei, sorta a partire dalla calata sannitica: il muro in pappamonte obbediva forse a generali esigenze strategiche, delimitando una vasta zona rurale protetta, non necessariamente urbanizzata.
Questa interpretazione sembra confortata dalla mancanza di reperti archeologici anteriori al IV secolo a,C. finora riscontrata nei settori appartenenti alla "grande" Pompei: un'apparente eccezione è la casa della Colonna Etrusca, sita nel cuore di uno dei quartieri risultanti dall'ampliamento sannitico (la regione VI, a nord del nucleo originario), caratterizzata da una colonna tuscanica di età arcaica conservata all'interno dell'abitazione. Scavi stratigrafici hanno chiarito che questa colonna sorgeva isolata nel mezzo di una faggeta, con la funzione di grande oggetto votivo pertinente ad un santuario extraurbano della Pompei arcaica: la natura sacrale della colonna ne spiega in ultima analisi la conservazione all'interno di un'abitazione più tarda.
E' dunque in coincidenza della calata sannitica che si delinea l'articolazione urbana della "grande" Pompei: al pari delle mura, anche l'assetto urbanistico rivela la profonda ellenizzazione delle élites sannitiche che presiedettero all'ampliamento della città. La tendenza fondamentale è rappresentata dalla ricerca dell'ortogonalità degli incroci, ma il preesistente nucleo arcaico, che venne conservato, sottolineandone l'importanza politico-amministrativa, e il rispetto delle antiche strade extraurbane (con ogni probabilità bordate già da tempo da qualche costruzione) costrinsero i progettisti a numerosi adattamenti. Fu proprio l'orientamento del nucleo originario a determinare gli assi fondamentali di riferimento: il quartiere a nord di esso, la regione VI, è incentrato sull'asse della via di Mercurio (cardo), che non è altro che il prolungamento della direttrice del foro; tutto il settore orientale prende l'avvio dal secondo tratto di via dell'Abbondanza (decumano), tracciato sulla continuazione dell'asse via Marina - Foro - primo tratto di via dell'Abbondanza.
Osservando in dettaglio la pianta è facile notare che il decumano dell'ampliamento assume una direzione leggermente obliqua rispetto alla direttrice della "piccola" Pompei: questo angolo è dovuto alla necessità di normalizzare il più possibile l'incrocio con la via Stabiana, una strada conservata nella città nuova in virtù della sua primitiva funzione di percorso extraurbano verso Stabia e Sorrento.
Un altro esempio di conservazione del nuovo assetto urbano di una originaria via esterna è la via Consolare, col suo caratteristico percorso curvilineo che corrisponde all'antico tratto iniziale della strada per Ercolano e Napoli. La definitiva riprova della necessità di adattare vecchi e nuovi assi è l'intera area abitativa compresa tra il perimetro delle ipotetiche mura arcaiche (da via dei Soprastanti a via dei Teatri), l'asse via delle Terme - via della Fortuna e la via Stabiana: in questo settore si possono osservare la massima irregolarità nella forma degli isolati (trapezi fortemente scaleni in luogo dei rettangoli che punteggiano quasi dappertutto la "grande" Pompei) e il mantenimento di vie dal tracciato sinuoso come ad esempio, il vico Storto.
Con questo complesso sistema tutto il pianoro venne diviso organicamente in isolati contenenti lotti edificabili, destinati a soddisfare le varie esigenze insediative dei nuovi abitanti: ipotesi suggestive vedono nella calata sannitica di fine V - inizio IV secolo a.C. un indizio del processo di democratizzazione che investì l'Italia in quell'orizzonte storico (si pensi ad esempio al pressoché contemporaneo conflitto patrizi-plebei a Roma), ma più correttamente è forse da postulare un allargamento del corpo civico e delle élites dominanti, fenomeno tutto sommato diverso da esperienze politiche di tipo ateniese.
Questa valutazione poggia non secondariamente anche sull'analisi dei moduli abitativi: prendendo in considerazione le case pompeiane che sembrano poter risalire così indietro nel tempo, si nota fondamentalmente l'assenza di una tipologia strettamente egualitaria delle abitazioni, che, già fin d'ora, segnala differenze sociali di un certo peso, anche se prive della dimensione macroscopica che assumeranno nella piena età ellenistica. Altra caratteristica essenziale dell'assetto urbanistico della Pompei sannitica è la programmazione degli spazi in vista degli sviluppi ipotizzabili per il futuro: alcuni isolati, tracciati nel IV secolo a.C. nei quartieri vicini all'anfiteatro erano, ancora al momento dell'eruzione del 79 d.C., liberi da costruzioni, efficace testimonianza di un lungimirante indirizzo urbanistico ideato in funzione di una crescita, poi di fatto mai interamente realizzatasi. Logico complemento della pianificazione urbana di Pompei è la cerchia muraria: si è già parlato della possibilità che esistesse fin dal VI secolo a.C. sulla stessa linea una cinta in blocchi di pappamonte poi ricalcata dal muro a doppia cortina realizzato dai Sanniti. Il perimetro murario si dispone, per evidenti motivazioni difensive, sul limite estremo del pianoro, dove cominciano i brevi strapiombi che separano la piccola altura su cui sorge Pompei dalla pianura circostante. Le mura sono aperte da sette porte (un'ottava si trova forse nel settore settentrionale non ancora scavato), disposte in punti vitali per le varie direttrici di traffico da e per la città: sul principale asse est-ovest sono situate la porta Marina e la porta Sarno, mentre in corrispondenza dell'altro decumano (via delle Terme - via di Nola) si trova una sola porta (porta di Nola), a testimonianza dell'effettiva maggiore importanza di via dell'Abbondanza come decumano generatore dell'ampliamento sannitico.
La via Consolare, tratto urbano della strada per Napoli, è naturalmente dotata di una porta (porta Ercolano), mentre la via Stabiana, che riflette, come si è visto, un percorso protostorico, ne ha logicamente due, una a nord (porta Vesuvio), la seconda a sud (porta di Stabia). Il quartiere nei pressi dell'anfiteatro era servito dalla porta Nocera, aperta al termine della via omonima. Come è frequente nelle città antiche i tratti iniziali delle strade extraurbane, subito dopo le porte, erano destinati ad accogliere le tombe: finora, a parte qualche rara eccezione, i monumenti sepolcrali riscoperti appartengono generalmente agli ultimi 150 anni di vita della città, il periodo dell'occupazione romana. Il rito funerario prevalente era la cremazione e l'edificio tombale doveva, come non ultimo scopo, esaltare il rango sociale dei personaggi sepolti al suo interno.
Le mura di Pompei, con la loro complessa storia di restauri e rifacimenti, permettono di seguire agevolmente la scansione delle tappe fondamentali dello sviluppo storico della città. Più o meno in corrispondenza delle lunghe guerre che opposero i Sanniti a Roma nella seconda metà del IV secolo a.C., Pompei venne munita di una nuova cinta, che sostituì la precedente fortificazione a doppia cortina: anche le nuove mura vennero costruite in blocchi di calcare sarnense, ma al posto della doppia linea muraria si ricorse ad un terrapieno di rinforzo addossato alla cortina rivolta verso la città. Come è noto, le Guerre Sannitiche si conclusero con l'affermazione di Roma, che ebbe l'accortezza di garantire alle aristocrazie italiche una larvata autonomia, come ben dimostra il caso di Pompei, in cui continuarono a governare le élites sannitiche, naturalmente nel rispetto dei superiori interessi di Roma.




La fedele Stabiae.
di Emidio De Albentiis

Tra i vari fattori di sviluppo dell'antico abitatao, oltre alla favorevole posizione della città, dovuta ai grandi motivi paesaggistici, vi è certamente l'apporto di ricchezza basata su di un'economia agricola fiorente alimentata dalla fertile piana circostante e sul potenziamento degli scambi commerciali con l'entroterra campano movimentato attraverso il proprio porto. Per quanto riguarda la viabilità, Stabia era posta sulla via che da Pompei si dirigeva a Sorrento: inoltre a Stabia si staccava una diramazione per Nuceria (odierna Nocera), città sita a sua volta su importanti direttrici di traffico.
Dal punto di vista storico è essenziale sottolineare preliminarmente che, oltre alla disastrosa eruzione del Vesuvio del 79 d.C., vi fu un altro evento che segnò drammaticamente il destino della città: nel corso della ribellione degli alleati italici a Roma, il Bellum Sociale del 91-88 a.C., l'esercito romano, guidato dallo spietato console Lucio Cornelio Silla, distrusse l'abitato fortificato di Stabia. Da quel momento, come sappiamo da Plinio il Vecchio (I secolo d.C.), la cittadina non si riprese più e si trasformò in un'insieme di ville di soggiorno, in alcuni casi concepite anche per la produzione agricola specializzata (soprattutto olio di oliva).
Prima del violento attacco sillano Stabia aveva condiviso il destino storico dei centri di cultura indigena osco-campana della valle sarnense, lambiti già nell'VIII secolo a.C. dalle prime forme di penetrazione etrusca, come attesta la cultura materiale delle necropoli dell'agro stabiano.
Gli Etruschi furono evidentemente attratti dall'importanza strategica e commerciale del sito di Stabia: essi costituirono certamente uno degli elementi propulsori dello sviluppo dell'abitato fin oltre la conclusione dell'epoca arcaica, anche se non vanno dimenticati i contributi della cultura indigena e gli influssi provenienti dalle vicine città magno-greche. Nel corso del V secolo a.C. il declino degli Etruschi, sconfitti nella battaglia navale di Cuma nel 474 a.C., aprì la strada alle popolazioni sannitiche dell'interno, che cominciarono a premere verso le fertili zone costiere: a somiglianza della vicina Pompei, anche Stabia conobbe un ricco periodo sannitico, in cui la città sembra peraltro dipendere fortemente da Nocera.
A prescindere dalla sua scontata presa di posizione antiromana durante le guerre sannitiche della seconda metà del IV secolo a.C., non abbiamo molte notizie su Stabia fino al cruento assalto sillano ricordato in precedenza. La costante fedeltà di Stabia ai Sanniti, attestata nei secoli di lotta che questo popolo ha condotto per difendere la propria libertà, induce a pensare che l'intero insediamento fosse abitato da genti provenienti dal cuore del Sannio, insediatesi su quella costa per un preciso volere politico e militare.
Fino ad oggi, l'analisi archeologica del territorio stabiano, centrata fondamentalmente sulle ville impiantatesi dopo la guerra sociale, non ha ancora risolto del tutto il problema dell'esatta ubicazione topografica del sito di Stabia: di essa si conosce soltanto qualche elemento, come ad esempio alcuni tratti delle mura sannitiche, che fanno ritenere plausibile la localizzazione dell'abitato (il toponimo plurale, Stabiae, induce a ritenere che in una fase remota vi fosse un'aggregazione di più villaggi) nella zona di San Marco, ad est dell'odierna Castellammare nell'immediato entroterra sarnense.

 


Le descrizioni delle cittadine dell'agro campano presenti in questo saggio
sono basate, dove non citati espressamente, anche su scritti di E. Lepore,
E. De Albentiis, G. Vallet e V. Sampaolo.

 

NOTE

(1) TEANO - La grande statua in terracotta, alta circa 1,60 cm. acefala, raffigurante Cerere, la greca Demetra, è rappresentata nell'iconografia con un porcellino. Per la robustezza delle forme e per la resa della veste, caratterizzata da pieghe stilizzate e pesanti che ricadono parallele verso il basso, è accostabile alle figure acroteriali del santuario tardo-arcaico di Portonaccio a Veio. Proviene dallo scavo di uno dei santuari di Teanum Sidicinum, l'attuale Teano e risale a circa il VI secolo a.C. Dalla modalità di esecuzione, si crede possa essere uscita dalle fornaci di Capua.
E' possibile vederla nel nuovo ed imponente Museo Archeologico di Teano, insieme ad un gran numero di altri reperti che datano dal Neolitico fino all'età romana. Il periodo storico tra l'VIII ed il IV secolo a.C. è rappresentato da interessanti e pregevoli reperti che testimoniano come la maestria artigianale degli Etruschi abbia lasciato in queste terre un'impronta ben definita nell'arte e nell'oggettistica fittile di quei tempi.

(2) L'immagine dei guerrieri è tratta da: © Early Roman Army by Osprey Publishing.

(3) Una moderna ipotesi identifica l'insediamento etrusco di "Volturnum" tra gli attuali Castel Volturno e Cancello-Arnone, alla foce del fiume.

(4) CUMA - La coppa viene chiamata di Nestore perchè reca graffita un'iscrizione metrica in greco con caratteri euboici dove viene esaltato il vino e l'amore e viene fatto il nome di Nestore, per cui la coppa viene confrontata con quella famosa dell'eroe Nestore menzionata nell'Iliade. Il reperto scavato da Giorgio Buchner, che rappresenta la più antica testimonianza letteraria in Occidente della conoscenza dei poemi omerici, è una coppa (kotyle) in terracotta abbellita con disegni geometrici, trovata in una tomba di bambino della fine dell'VIII secolo a.C. a Pithekoussai (Ischia).
Forse importata da Rodi, l'iscrizione può così essere tradotta:
"Io sono la coppa di Nestore in cui è piacevole bere. Ma chi beve in questa coppa prenderà subito desiderio di Afrodite dal bel diadema ".

(5) CUMA - Il cosiddetto "Antro della Sibilla Cumana", scavato nel tufo del monte di Cuma, è in realtà una elaborata struttura architettonica che fa parte del complesso difensivo della città risalente alla metà del IV secolo a.C.

(6) CUMA - Di recente è stata individuata un'area santuariale al di sotto del tempio con portico dedicato ad Era (oppure sede del Collegio degli Augustali), con un altare di tufo intonacato e dipinto in rosso e giallo, delimitata da un recinto che forse inglobava anche una sorta di tempio; numerose fosse votive con tracce di offerte e roghi rituali, nonchè tanti oggetti votivi, tra cui molte piccole frecce, documentano la funzione sacrale che si svolse in quest'area a partire dalla fine del V secolo a.C.

(7) CUMA - L'affresco risente molto della cultura greca nella scena ritratta ma denota un forte influsso "sannitico" nella rappresentazione dei soggetti e nell'iconografia, tipica dei territori occupati dai Lucani, da Velia e Paestum a tutta la piana del Sele. L'affresco di Cuma si accosta molto a quelli scoperti in quei territori da Mario Napoli nella metà del secolo scorso. In particolar modo il disegno della melagrana, simbolo di rinascita, ed il fatto che la figura minore che aiuta la matrona nella vestizione e mantiene un alabastron (vasetto per profumi) nella mano destra non sia una figura servile ma un'amica oppure una figlia, che indossa lo stesso vestito con identici motivi geometrici e gli stessi gioielli con cui viene raffigurata la matrona.

(8) MARCINA - La maggior parte del testo e delle immagini del saggio su Marcina sono tratte dalla rivista mensile di archeologia "Archeo - Attualità del passato" n.82

(9) MARCINA - Il vaso a figure nere su alto sostegno è decorato con un corteo di divinità ed è attribuito alla cerchia del pittore di Antimenes. Dalla necropoli di Marcina, fine VI secolo a.C.

(10) NOLA - Notevole appare questo affresco nel tratto grafico e nei colori. Il cavaliere indossa una corazza dorata di cui si intravede la parte terminale del collo dietro al grande scudo tondo. L'elmo è cinto da due corni di diverso colore che sembrano essere l'uno d'argento e l'altro d'oro. Se così fosse, appare chiaro il richiamo alla "Legio Linteata", lo speciale corpo d'armata dei Sanniti descritto da Tito Livio (vedi pagine dedicate).

 

 

 

Vastogirardi, Campagna di scavi 2004Studi e RicercheKardiophylakes italici, i dischi corazza dei SannitiCliccare per accedere alle pagine desiderate

Storia dei Sanniti e del Sannio - Davide Monaco - Isernia
ARCHITETTO DAVIDE MONACO