Poche sono ormai le targhe che ci ricordano la presenza di quelle mastodontiche, monumentali porte, i cui varchi consentivano l’ingresso in città.  Abbattute nei secoli, addossate ai palazzi, smembrate per esigenze costruttive nuove, se ne è dispersa la memoria.  Nate come “pertugi” di un sistema difensivo indispensabile, hanno subito le modifiche dei tempi e delle necessità urbanistiche e sociali.  Quelle che ancora restano a sostenere una cinta muraria ormai inesistente, forniscono una vaga idea della struttura imponente di cui facevano parte.  Sono rimaste in quattro e di certo non passano inosservate: porta Capuana e Nolana, porta San Gennaro e quella fatta erigere dal duca d’Alba presso l’ampio emiciclo Carolino.

             

             

                                        Napoli Greco-Romana                               

                                                               

                                                                          

                                     " Le Porte di Neapolis "  

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    Poche sono ormai le targhe che ci ricordano la presenza di quelle mastodontiche, monumentali porte, i cui varchi consentivano l’ingresso in città.  Abbattute nei secoli, addossate ai palazzi, smembrate per esigenze costruttive nuove, se ne è dispersa la memoria.  Nate come “pertugi” di un sistema difensivo indispensabile, hanno subito le modifiche dei tempi e delle necessità urbanistiche e sociali.  Quelle che ancora restano a sostenere una cinta muraria ormai inesistente, forniscono una vaga idea della struttura imponente di cui facevano parte.  Sono rimaste in quattro e di certo non passano inosservate: porta Capuana e Nolana, porta San Gennaro e quella fatta erigere dal duca d’Alba presso l’ampio emiciclo Carolino. Sono strutture spettacolari ed al loro confronto il tessuto urbano moderno che le accoglie stona, come lo può fare uno strumento musicale scordato.   La mappa delle fortificazioni, secondo uno schema attuale, mostrerebbe anche delle torri sopravvissute ai secoli, ma esse restano purtroppo inglobate nel teatro costruttivo odierno, il quale non consente più alcuna lettura in chiave storica. Peraltro le notizie che ci giungono dalle fonti risultano troppo spesso frammentarie, talvolta contraddittorie, pertanto risulta complessa una ricostruzione precisa nell’ambito di una identificazione sistematica degli ingressi dell’antica città, a prescindere dai vari e continui rimaneggiamenti, sostituzioni e demolizioni operate nei secoli scorsi. Molte erano le aperture che si profilavano lungo l’itinerario difensivo e tante porte prendevano il nome delle famiglie nobiliari che risiedevano in zona, oppure della destinazione di strade da cui i varchi partivano, o delle strutture che spiccavano per importanza nei suoli limitrofi.  Quelle che ricordiamo sono la porta Campana, divenuta poi porta Capuana al tempo di Ferrante I d’Aragona (figlio illegittimo di Alfonso V), che occupava la zona di sedil Capuano presso il Castello, il quale per un certo tempo si trovava per metà entro le mura e per metà de fora, almeno fino a quando non si decise di allargare oltremodo la cinta difensiva sotto gli aragonesi, che lo inglobarono totalmente intra moenia. La porta Campana chiudeva ad est il decumano maggiore ed alla banda opposta aveva un’altra porta importante andata distrutta, che è la Puteolana, così detta in quanto indirizzava verso la strada per Pozzuoli.

    Altra porta era quella che chiudeva ad oriente il decumano inferiore, cioè la Furcillensis entro la zona di Forcella, che al suo opposto aveva la porta Cumana presso il largo San Domenico Maggiore. Di questa porta si ebbe notizia intorno al seicento quando, in occasione dei lavori per la realizzazione delle fondamenta della guglia del santo di Guzman, il Picchiatti, allora architetto responsabile dell’opera, scoprì i resti d’un tratto murario greco-romano appartenente all’antica porta, scoperta che egli stilò accuratamente entro un registro poi reso noto. Sta di fatto che i lavori alla guglia si dovettero interrompere per essere poi ripresi nel settecento ad opera di Domenico Antonio Vaccaro. Presso la chiesa dei Ss. Apostoli era situata la porta Carbonara che serrava ad est il decumano superiore, il quale ad ovest aveva la porta Romana. Questo tracciato di porte che delimitavano i decumani era assai in uso presso i greci e i romani, in quanto tutta la struttura urbana si rifaceva alla tavola ippodamea che organizzava la città con uno schema a tre filoni principali chiusi da porte appunto, tagliati da vicoli detti  in latino cardini.  Delle porte che ancora possiamo ammirare, per chissà quale fortuna storica, quella Capuana senz’altro rappresenta l’esempio più straordinario ed efficace non solo del gusto rinascimentale a Napoli, ma anche del simbolismo assunto per trasmettere la magnificenza della casa d’Aragona che la fece erigere. Difatti questa diventa sostanzialmente una struttura rappresentativa e celebrativa allo stesso tempo. E lo fa con stemmi, epigrafi, archi e cartigli, sculture, putti e vittorie, assolutamente emblematiche, dovendo enunciare la vittoria di Ferrante sui baroni ribelli e dovendo peraltro celebrare la sua incoronazione di re. Esemplificative in questo senso sono le dimensioni della struttura che in origine raggiungeva i venticinque metri, divenuti poi ventitrè con il progressivo innalzamento del suolo stradale. Ferrante volle affidare il compito di ricostruire la porta Campana a Giuliano da Maiano il quale, proveniente da Firenze, iniziò dal 1484 a lavorare a Napoli, insieme al fratello Benedetto. Giuliano da Maiano comprese in fretta le esigenze del regnante, pertanto progettò l’opera in splendido marmo bianco di Carrara, di cui ancora è totalmente rivestita, disegnandola come un vero e proprio arco di trionfo. La porta fu iniziata intorno al 1488 e terminata nel 1495, in quanto alla visita di Carlo VIII a Napoli, la struttura era già in piedi. Il da Maiano studiò un sistema molto semplice, eppure elegante ed imponente. La porta si organizza su due pilastri laterali in stile corinzio, su cui s’accosta il fornice dell’arco decorato con un bassorilievo scolpito con trofei d’armi: elmi, corazze, spade e scudi, tutto avvolto in nastri che si interrompono in cima all’arco, nel cui centro campeggia la cosiddetta chiave dell’arco che segna il punto equidistante tra le due parti, per poi proseguire nel lato opposto. Sovrapposto a questo prendeva posto in loco alla trabeazione,  il fregio con la scena dell’incoronazione di re Ferrante, ovvero Ferdinando I, che ebbe la sfortuna di evocare quella memorabile data per solo mezzo secolo, dato che al suo trionfale ingresso in città nel 1535, Carlo V la fece eliminare e sostituire con il suo stemma dell’aquila bicipite ad ali piegate. Ai due estremi, in loco alle nicchie laterali, prendono posto le statue di Sant’Agnello e San Gennaro. In cima la struttura è sormontata da un cornicione ed un attico dalle dimensioni di novanta centimetri, tutto in marmo bianco e decorato con gigli. La porta è affiancata da due torri dette dell’Onore e della Virtù.   Meno ricca, ma altrettanto interessante è la porta Nolana, sempre del periodo aragonese. Essendo un varco secondario (la Capuana rappresentava l’ingresso principale della città), presenta pochi elementi decorativi, tra cui un bassorilievo su cui è scolpito re Ferdinando I in groppa ad un cavallo in tenuta d’armi, spada sguainata nell’atto di colpire. Le sue insegne sono scolpite in maniera ancora visibile sull’armatura e sulla gualdrappa dell’animale. La porta, purtroppo inglobata in un vergognoso contesto di abusivismo edilizio, porta sul suo arco una costruzione abitativa più o meno recente, che si staglia tra le belle torri dette Fede e Speranza.  Nel 1537 fu ricostruita la porta di San Gennaro, in pieno periodo vicereale, in seguito all’ulteriore ampliamento degli spazi urbani. La porta di San Gennaro fu pertanto spostata in direzione della chiesa del santo patrono da cui trae origine il nome. La composizione strutturale è di facile lettura nella sua estrema semplicità. Non presenta decorazioni o fregi di sorta, ma in compenso vanta un primato: è l’unica tra le superstiti a conservare l’edicola votiva, strutturata tra la statua di San Gennaro e san Michele, che Mattia Preti ebbe l’incarico dagli Eletti del popolo di dipingere su tutte le porte di Napoli, in occasione della terribile pestilenza che piegò la popolazione napoletana nella seconda metà del seicento. L’ultima porta che ci rimane è la port’Alba, dal nome del vicerè Don Antonio Alvarez di Toledo, duca d’Alba, che la fece erigere dietro le insistenze di Paolo di Sangro. Questa porta difatti, come la porta Medina, altro non era che un varco, un “pertugio” aperto abusivamente dal popolo che non intendeva più fare lunghi giri per entrare in città. La popolazione era aumentata, il territorio aveva la necessità di ampliarsi e le aperture iniziavano ad essere una limitazione per quello che riguardava gli spostamenti immediati della cittadinanza. Al ché il popolo finiva con aprire autonomamente degli ingressi anche senza autorizzazione. Stufo delle continue “rotture” della cinta muraria, il principe don Paolo di Sangro di San Severo, pregò il vicerè di erigere una porta presso il largo Mercatello (attuale piazza Dante). Cosa che accadde nel maggio del 1624 e nel 1781 alla sua estremità venne apposta la statua di San Gaetano, proveniente dall’abolita porta Reale. Port’Alba per lungo tempo è stata denominata dal popolo porta Sciuscella dal nome dei frutti di carrubo che continuamente finivano in strada e provenienti dal vicino giardino del convento di San Sebastiano.

     

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