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Il Fiume Sebeto




Sono tre gli autori latini che parlano della tradizione sebezia:

Virgilio (I sec. a.C.);
Stazio (I sec. d.C.);
Columella (I sec. d.C.).

Virgilio è il più antico portavoce, e ne parla nel settimo libro dell'Eneide dal verso 733 al 736, dove si parla di un certo Ebalo, e forse ne aveva parlato per fare un omaggio a Napoli, dove lui si era ritirato per amore della filosofia. Secondo l'antico mito, tra il Sebeto e la bella sirena Partenope, si creò un legame affettivo dal quale nacque Sebetide, che insieme a Telone, generò Ebalo, il futuro re di Palepoli. Quando morì Partenope, fu deposta in una tomba alla foce del Sebeto, cioè a Palepoli, che assunse il nome della bellissima sirena.

Stazio nelle Silvae, descrive il territorio napoletano affermando: " ... pulchra tumeat Sebethos alumna " cioè: " ... il Sebeto vada superbo per la bellezza di colei che esso nutrì .."

Columella, nella sua singolare opera, De re rustica, che è la continuazione delle Georgiche di Virgilio, canta ed esalta i famosi cavoli di Cuma e di altre località campane; tra cui Napoli: " ... la dotta Partenope è bagnata dalla benefica linfa del Sebeto ".

Questi testi poetici, sono molto importanti perché, confermano l'esistenza di un fiume, però nessuno ci assicura che gli autori stessi l'abbiano verificato di persona. Tutta la storia del Sebeto è un mistero, come la sua sorgente. Le prime ipotesi furono formulate da:

Villani;
Leone; Celano;
Summonte.

Villani prima e Celano dopo individuarono la sorgente di questo fiume nelle cavità del Vesuvio. Poi Summonte individuò le sorgenti del Sebeto sotto la Chiesa di S. Maria del Pozzo a Somma Vesuviana.

Un'altra ipotesi fu formulata da Leone che ritenne che le sorgenti si trovassero nelle paludi di Abella e di Suessola, ma quest'ipotesi, secondo Mancini era errata e insostenibile; perché secondo Mancini la sorgente potrebbe essere anche la sorgente della Bolla, che era alimentata dalle viscere del Vesuvio e del monte Somma, che si univa ai ruscelli che scendevano dalla collina di Poggioreale e dei Colli Aminei. La sua consistenza doveva essere discreta nel lieve pendio, in parte oggi individuabi1e tra via Pessina e via Medina per immettersi nel mare. Il fiume costituiva quindi il confine tra Partenope e Neapolis. Capire perché durante i secoli questo fiume sia diventato così piccolo è difficile. Probabilmente una delle cause fu la costruzione dell'acquedotto della Bolla, però anche il sistema di approvvigionamento idrico, trasformò molto il territorio, così che, molte sorgenti si esaurirono o deviarono il loro corso. Ma le cause che maggiormente influirono sul modificarsi del corso del Sebeto furono gli eventi vulcanici: l'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. avrebbe favorito la metamorfosi del Sebeto in Rubeolo, e naturalmente, cambiò la foce. Queste sono solo ipotesi, bisognerebbe avere una conferma dai tecnici, per sapere perché il Sebeto non continuò a scorrere nel suo letto originario.

IL LETTO

Carlo Celano sostenne che il Sebeto scorresse all'interno delle mura della città. Ricordando L'esistenza di vari pozzi in quella zona, Celano, si convinse, che i pozzi erano collegati al fiume e che questa era una testimonianza dell'esistenza di un fiume ancora vivo e glorioso. Secondo Celano, la città si sviluppò avendo tra le sue mura il Sebeto. Quest'ipotesi tuttavia appare poco probabile.

LA FOCE

Per quanto riguarda la foce, l'unica indicazione che Celano ci fornisce è che questa si trovava molto lontano dalla città. Osservando la carta tratta all'atlante di Sasso si può notare che la zona dove sfociava il Sebeto si chiamava "Strada della Marina" che si trovava a sud - est del Vesuvio.



Una prima ipotesi riguardante le origini del nome Sebeto, fu formulata da Giacomo Martorelli, che ne parla nel De Regia theca calamaria nel 1756, il quale sosteneva che il nome Sebeto, proveniva dal vocabolo Sabat, quietus cioè leniter fluens, perchè le acque dei fiumi erano tranquille. Una seconda ipotesi fu formulata da Antonio Vetrano, che ne parlò nel Sebethi vindiciae sive Antonii Vetrani Dissertatio del 1767. Vetrano, ricorda che i Fenici avevano costume di dare a luoghi e a cose dei nomi, quindi Sebeto, sarebbe il corrispettivo della parola palestinese Sabato, conosciuto come la fonte degli orti. Solo il Sebeto, meritava questo nome, perché dipendeva da lui la vita di tutte le campagne.

Altre ipotesi furono formulate da: Raoul-Rochette; Bernardo Quaranta; Ludovico De La Ville; Giulio Minervini.

Raoul-Rochette, ne parlò in un articolo del Journal des Savants nel maggio del 1854, rifacendosi al vocabolo Sepeitos iscritto su una moneta napoletana forse del V sec. a.C. e o giudicava come un nome indigeno.

Bernardo Quaranta, invece, riteneva che Sepeitos, provenisse dal greco Sebo cioè andare con impeto quindi il Sebeto sarebbe impetuoso.
Quaranta fu contraddetto da De La Ville che ricordava che Sebo significa onorare il culto. In questo caso, se si considerasse accettabile la coniugazione Sebo - Sebeto, il Sebeto sarebbe una divinità riconosciuta dal popolo.

Giulio Minervini, invece, fece risalire la parola Sepeitos dal greco Sepo, che significava putrefare, in questo caso il Sebeto sarebbe un fiume stagnante. Alcune monete risalenti al V -IV sec. a.C. ritrovate nel territorio napoletano, costituiscono il più antico documento pervenutoci come prova dell'esistenza del fiume Sebeto. Una moneta, forse risalente alla seconda metà del V sec. a.C. raffigurava la testa di un giovane con un corno sulla fronte e i capelli che gli cadono sul collo,trattenuti da una bandina, intorno alla moneta c'è la scritta Sepeitos e sul retro c'è una donna alata seduta su un'idra rovesciata e con la scritta intorno: Neapolites.

Molta difficoltà si trovava neltradurre la parola Sepeitos, ma dopo l'intervento di Raffaele Garrucci, ogni dubbio fu fugato, il termine Sepeitos era un'espressione dialettale dei coloni dell'Eubea. In essa, la lettera B si sarebbe trasformata in P e le lettere H (E) in EI. Sepeitos, perciò indicherebbe in modo chiaro che il volto del giovane sarebbe la rappresentazione del dio fluviale Sebeto. Questa interpretazione corrisponde ai comportamenti assunti dai coloni nella Magna Grecia che divinizzavano i fiumi, dedicando loro un tempio o ricordandoli sulle monete. La monetizzazione, si concretizzava, raffigurando il fiume con le sembianze di un giovane oppure indicando il nome, oppure si avevano tutte e due insieme, come in questo caso.

Un'altra importante testimonianza sull'esistenza del Sebeto è l'epigrafia. Durante i lavori di scavo nelle mura della città, presso la Porta del Mercato, fu rinvenuta un'epigrafe su marmo dell'età imperiale, raffigurante un tempietto in onore del Sebeto, costruito forse per riconfermare il culto dell'antico dio Sebeto. Su quest'epigrafe, si leggeva: P. Mevius Eufychus aedicolam restituit Sebetho cioè P. Mevio Eutico
ha riconsacrato un sacello al Sebeto.
Dall'interpretazione di Martorelli si parla quindi di un certo Mevio Eutico che ha riconsacrato un sacello al Sebeto.







(AGGIORNAMENTO DEL 15/03/2010)


La città di Napoli ha da sempre uno stretto rapporto con l’acqua. Un legame misterioso, certamente alimentato dalla sua posizione avanzata sulla costa, così come dai suoi corsi d’acqua interni. Alcuni di questi scorrevano sotterranei, altri addirittura erano navigabili, come il fiume che scorreva nella zona orientale, scomparso intorno al XIV secolo.

Il Sebeto, scendendo dal monte Somma, attraversava le campagne di Casalnuovo, Volla, Ponticelli per dividersi a Napoli in due rami, uno sfociante al Ponte della Maddalena, l’altro alle falde della collina di Pizzofalcone, nei pressi dell’isolotto di Megaride, dove s’insediò il primitivo porto di Partenope. L’etimologia del nome resta oscura; il fiume aveva le sue sorgenti alle falde del Vesuvio, una volta ricco d’acqua e pescoso. Con il volger dei secoli subì varie modifiche nel suo percorso, dovute alle eruzioni del Vesuvio ed ai movimenti tellurici.

Al corso d’acqua la Città di Napoli dedicò un culto, un importante testimonianza sull’esistenza del Sebeto è l’epigrafia. Durante i lavori di scavo nelle mura della città, presso la Porta del Mercato, fu rinvenuta un’epigrafe su marmo dell’età imperiale, raffigurante un tempietto in onore del Sebeto, costruito forse per riconfermare il culto dell’antico dio Sebeto. Su quest’epigrafe, si leggeva: P. Mevius Eufychus aedicolam restituit Sebetho cioè P. Mevio Eutico ha riconsacrato un sacello al Sebeto, ma il fiume deve la sua rinomanza alle celebrazioni di poeti quali L. Giunio Columella e Papinio Stazio, oltre a Virgilio che ce lo tramandò con il nome di “Sebthide Ninpha” nel VII libro dell’Eneide.

Chiamato in origine Rubeolo, questo fiume a partire dal periodo umanistico ebbe per intervento di Boccaccio, Pontano e Sannazzaro il nome con cui oggi è ancora conosciuto. La sua origine, ancora avvolta dalla leggenda, narra dello stretto rapporto tra acqua e fuoco che da sempre caratterizza la vita della terra e in particolar modo questa zona. Un mito affascinante che racconta il legame degli uomini con le forze della natura. La leggenda riporta che sulla spiaggia Vesevo e Sebeto si incontravano, il primo sputando torrenti di fuoco, l’altro frantumando sassi e trascinandoli in mare. Quando sfiniti dalla battaglia, i due giganti si riposavano, fioriva la vita su quello che era stato il loro campo di battaglia. Nell’alternarsi di queste fasi giunsero allora i primi coloni. Questi primi abitanti onoravano e rispettavano le due divinità, vivendo come spettatori delle loro lotte per conquistare la bellissima ninfa Leucopetra, figlia di Nettuno. Solo con il passare dei secoli, a seguito dell’interramento di Sebeto e del lungo silenzio di Vesevo la memoria della loro forte presenza andò scomparendo.

Un’altra affascinante leggenda narra del grande amore, coronato dal matrimonio, tra Sebeto, ricco signore che abitava una rigogliosa campagna nei pressi di Napoli e Megara. Il loro idillio purtroppo durò poco poiché Megara morì, durante una passeggiata fra le acque del golfo. Spintasi troppo vicino alla costa Platamonia, dove il mare è sempre tempestoso, divenne preda delle acque ed annegò, trasformandosi in scoglio. Appresa la terribile notizia, Sebeto si sciolse in amare lacrime diventando acqua, per gettarsi nel mare dove Megara era morta. Nell’attesa che il Sebeto risorga da quel limbo in cui è stato sepolto, il popolo partenopeo può ammirarne le effigie custodite in alcuni angoli di Napoli. Ancor’oggi la città conserva gelosamente nella propria architettura e nei simboli religiosi i resti del glorioso passato di questo fiume la cui storia si perde in un labirinto di miti e realtà.

A pochi passi da Santa Maria del Porto, presso il Largo Sermoneta, si trova la Fontana del Sebeto che rappresenta allegoricamente il mitico fiume che lambiva Neapolis. Fu il viceré Fonseca a volerla nel 1635, affidandone il progetto all’architetto Cosimo Fanzago. Il Sebeto viene rappresentato come un vecchio dalla barba fluente in posizione adagiata su una conchiglia tra due obelischi. Affiancate figurano peraltro le sculture di due tritoni portatori delle buccine (piccoli vasi) da cui sgorga l’acqua. La fontana è riccamente decorata; in alto, sull’arco, vi sono una lapide e gli stemmi di viceré, città e re. Per qualche secolo la fontana trovò luogo dappresso alla statua del gigante, sita in Largo di Palazzo (attuale via Cesario Console), ma in seguito subì numerose ricollocazioni: solo nel 1903 fu sistemata in via Partenope ed infine a Largo Sermoneta, dove tutt’oggi è possibile ammirarla.

Numerose altre storie si riferiscono alla storia Sebeto. Una antica voce di popolo narra che nel 1799 un ufficiale russo, passando sul “Ponte della Maddalena”, ove “in illo tempore” scorreva il vecchio Sebeto, si meravigliasse della grandezza del ponte medesimo, rispetto alla scarsa acqua che vi scorreva al di sotto. Questo luogo era in origine chiamato “Territorium Plagiense Parte Foris Fluvium” mentre il ponte era conosciuto come “Pons Padulis” o “Guizzardo” poichè costruito da Roberto il Guiscardo, Duca di Puglia, che assediò la Città di Napoli nel 1078. Dopo molte peripezie questo ponte (quasi distrutto) fu ricostruito nel 1556 per ordine del Viceré di Napoli Ferdinando Alvares de Toledo e chiamato da allora “Ponte della Maddalena”. Infine fu Carlo III nel 1747 a farlo abbassare per consentire il passaggio dei veicoli.

Il ponte della Maddalena conta ben cinque arcate, con una centrale di maggiore ampiezza, tutte riportate alla luce grazie ad un recente intervento di restauro. Sul ponte, in corrispondenza dell’arcata centrale, si trovano due antiche edicole sacre dalla forma simile; costruite in piperno, sono costituite di due colonne in marmo bianco che sorreggono il frontone triangolare. Una delle due fu realizzata dopo l’eruzione del Vesuvio nel 1777, per contenere la statua di marmo di S. Gennaro, opera dello scultore napoletano Francesco Celebrano; l’altra custodisce invece la statua in marmo di S. Giovanni Nepomuceno, protettore dei ponti, di autore ignoto. Oggigiorno l’edicola di S. Gennaro è rimasta libera, mentre l’altra speculare risulta inglobata nella facciata di una recente costruzione. Attualmente il ponte nonostante la presenza delle due edicole sacre è scarsamente riconoscibile anche perché il fiume Sebeto, con tutte le sue misteriose leggende, è ormai da tempo coperto.

Recenti studi hanno, però, confermato che il fiume Sebeto nasce dal Monte Somma, dalla Grotta detta "Delle Fontanelle del Cancellaro nel fondo della Preziosa"; le acque sorgive erano incanalate in parte nell'acquedotto della Bolla, mentre le restanti, scorrendo nelle campagne di Napoli, sboccavano dopo un corso lento e tortuoso nel mare di Napoli. Esso ora non è che poco più di un fiumiciattolo, quasi privo di acque, usato come canale di scarico di molte industrie; nei pressi della foce vi era un ponte detto "Pons Paldulis", poi "Guizzardo", ed infine della Maddalena. Il popolo lo chiama "Sciummitiello".







Sebeto.pdf